L'ultima chiamata di Mario Draghi all'Europa ha luogo nel corso di un evento apparentemente non di primo piano nell'agenda brussellese, l'European Parliamentary Week, che riunisce esponenti dei parlamenti nazionali da tutta Europa. Per il messaggio dell'ex presidente della Bce, tuttavia, si trattava di una platea importante, in quanto collante tra ciò che avviene nell'Ue e il consenso politico nei singoli Paesi membri.
Ed è a questa platea che Draghi, illustrando il senso e gli obiettivi del suo Rapporto sulla Competitività, ha lanciato un allarme che non lascia spazio a equivoci: l'Europa è destinata a restare sola ed è per questo che deve agire, subito, come fosse un unico Stato.
Ricorrendo, quindi, anche agli eurobond. Alla frammentazione del mondo - economica, politica, perfino geografica - per l'ex premier italiano la risposta dell'Europa deve essere direzionata esclusivamente verso una maggiore integrazione. A volte, ha spiegato Draghi, "l'Ue è il principale nemico di se stessa". Oggi non può più esserlo. Il mondo "confortevole" di qualche tempo fa è finito, le dichiarazioni che arrivano oltreoceano portano a prevedere che l'Ue, presto "dovrà garantire da sola la sicurezza dell'Ucraina e della stessa Europa".
Il tempo delle attese e dei veti è terminato. "Non si può dire no a tutto, altrimenti bisogna ammettere che non siamo in grado di mantenere i valori fondamentali dell'Ue. Quindi quando mi chiedete 'cosa è meglio fare ora' dico che non ne ho idea, ma fate qualcosa!", sono le parole, nettissime, con cui Draghi ha accompagnato la sua relazione in sede di replica. Parole che hanno ripercorso, di fatto, l'incipit dell'intervento dell'ex presidente della Bce
"Dobbiamo abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sull'equity. La risposta dell'Ue deve essere rapida, intensa, su vasta scala", ha scandito Draghi prendendo la parola in Aula all'Eurocamera. Non è la prima volta, negli ultimi mesi, che l'uomo del 'whatever it takes' lancia il suo allarme. Ma questa volta il contesto è cambiato.
Donald Trump, con la sua rete di dazi reciproci, attacchi politici all'Ue e imprevedibilità nella gestione della guerra in Ucraina, rischia di mettere Bruxelles di fronte ad un muro. "Per far fronte a questa sfide è sempre più chiaro che dobbiamo agire come se fossimo un unico Stato. La complessità della risposta politica che coinvolge la ricerca, l'industria, il commercio e la finanza richiederà un grado di coordinamento senza precedenti tra governi e parlamenti nazionali, Commissione e Pe", ha sottolineato Draghi.
Prima di parlare di numeri. All'Ue servono, come stima prudenziale, "750-800 miliardi l'anno di investimenti" da convogliare in tecnologie, IA, difesa, rilancio dell'industria nel segno della decabornizzazione. Si tratta di cifre enormi, per le quali è "necessario emettere titoli di debito, "e questo debito comune deve essere, per definizione, sovranazionale, perché alcuni Paesi non dispongono di spazio fiscale sufficiente nemmeno per i propri obiettivi, non hanno alcuno spazio fiscale", ha spiegato Draghi. Ed è qui che la sua visione differisce da quella della Commissione e di Ursula von der Leyen.
Nella Bussola della Competitività non c'è traccia di debito comune, ma si prevede un allargamento delle maglie per gli aiuti di Stato. E, sulla difesa, von der Leyen ha annunciato che i 27 potranno ricorrere alla clausola di salvaguardia. Scorporando le spese dal deficit e dal debito sì, ma solo temporaneamente. La ricetta di Draghi è più netta e, non a caso, prevede il superamento dell'unanimità - a favore della maggioranza qualificata - nella gran parte delle decisioni che i Paesi Ue sono chiamati a prendere.
Il 26 febbraio la Commissione presenterà il Clean Industrial Deal. Nella bozza del piano si parla della necessità di aumentare gli investimenti annui di "480 miliardi", si punta sulla semplificazione delle regole e su norme per gli aiuti di Stato che favoriscano la competitività. Un passo avanti, certo, che, tuttavia, difficilmente potrà bastare al raggiungimento degli obiettivi del cronoprogramma di Draghi.
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