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La Corte Costituzionale si è pronunciata per due volte sul fine vita, ma in mancanza di una norma nazionale, le regioni vanno ognuna per conto proprio
La Toscana è stata la prima Regione ad approvare la legge di iniziativa popolare grazie alla quale verranno garantiti ai malati tempi e modalità certi per l'accesso al suicidio medicalmente assistito. Ma l'associazione Pro vita chiede al Governo di fare ricorso. I disegni di legge in esame al Senato potrebbero mettere nuovi paletti in materia mentre l'Italia continua a dividersi su tema che coinvolge la politica, la religione, la medicina e i diritti umani.
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L'eutanasia è vietata in Italia, mentre il suicidio assistito, dopo l'intervento della Corte Costituzionale del 2019, è consentito ma solo ad alcune condizioni. A quasi sei anni di distanza dalla storica sentenza sul caso del Dj Fabo, che ha aperto la strada a questa procedura medica, ancora non c'è una legge nazionale sul fine vita e il nuovo tentativo di legiferare da parte del Parlamento procede a rilento.
Proprio la Consulta, nel frattempo, si è espressa nuovamente, con una sentenza che di fatto allarga le maglie di chi può aver accesso al suicidio medicalmente assistito. E l'approvazione, da parte del Consiglio Regionale della Toscana, della proposta di legge promossa dall'Associazione Luca Coscioni costituisce il primo caso di regolamentazione del suicidio assistito a livello regionale nel nostro Paese. Ma l'associazione Pro vita chiede al Governo fare ricorso.
Tutto questo è andato di pari passo con dei cambiamenti culturali: secondo il Rapporto annuale del Censis, nel 2023, il 74% dei cittadini in Italia si dichiarava favorevole all’eutanasia. E cresce il numero di chi cerca informazioni.
Il cinema non si è tirato indietro di fronte a questo spinoso tema: l'ultimo in ordine di tempo è stato Pedro Almodovar, che ha ottenuto il Leone d'oro a Venezia con "La stanza accanto". Prima di lui, a cimentarsi con le difficoltà emotive ed etiche del malato che sceglie di morire, sono stati Marco Bellocchio, con "La Bella Addormentata", (che racconta la storia di Eluana Englaro), Clint Eastwood con "Million Dollar Baby" (che vinse l'Oscar nel 2005), ma ci sono anche commedie come "È andato tutto bene" di Francois Ozon.
Il dibattito, ora, è politico ma impregnato di questioni etiche: "Su se stesso, sul suo corpo e la sua mente l'individuo è sovrano", scriveva nel 1859 il filosofo inglese John Stuart Mill. In molti però non la pensano così, per fede religiosa e non solo. Come i medici cattolici che puntano l'attenzione sulla mancanza di presa in carico dei pazienti incurabili. O come l'associazione Pro Vita & Famiglia, secondo cui, a rimetterci sono i più fragili.
La Toscana sarà la prima Regione italiana a garantire ai malati tempi e modalità certi per l'accesso al suicidio medicalmente assistito. Dopo un lungo e acceso dibattito, il Consiglio regionale ha approvato, l'11 febbraio, data in cui ricorre la Giornata mondiale del Malato, la legge di iniziativa popolare promossa dall'Associazione Luca Coscioni: un testo presentato in tutte le Regioni ma, finora, mai arrivato all'approvazione.
L'obiettivo è evitare che pazienti in attesa di un responso per mesi, muoiano prima di averlo ottenuto, come accaduto il 9 febbraio, proprio alla vigilia del via libera, a una donna di 70 anni, Gloria, affetta da broncopneumopatia cronica ostruttiva, originaria di Firenze, che da un anno attendeva l'ok della Asl alla somministrazione del farmaco letale. Subito è insorta l'associazione Pro Vita che parla di "una legge barbara e disumana", "omicida e incostituzionale". E invita il governo "a impugnare immediatamente la legge toscana con un ricorso in Corte Costituzionale per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato".
La legge 'Liberi subito' depositata lo scorso marzo dall'Associazione Coscioni con oltre 10mila firme, è stata modificata dall'assemblea toscana tramite una dozzina di emendamenti e prevede che la procedura per la verifica dei requisiti del malato da parte della commissione si debba concludere entro 20 giorni dal ricevimento dell'istanza. In caso di esito positivo, si procede alla definizione delle modalità di attuazione della procedura entro 10 giorni, ed entro altri 7 giorni l'azienda sanitaria assicura il supporto tecnico, farmacologico e sanitario per l'assunzione del farmaco. La norma stabilisce che tali prestazioni siano gratuite e si stanziano 10mila euro all'anno per tre anni.
Soddisfazione tra i rappresentanti dell'Associazione Coscioni, presenti in aula al momento del voto finale. "È una legge di civiltà perché impedisce il ripetersi di casi, da ultimo quello di Gloria, proprio in Toscana, di persone che hanno dovuto attendere una risposta per mesi, o addirittura per anni, in una condizione di sofferenza insopportabile e irreversibile", ha commentato la segretaria dell'Associazione Filomena Gallo.
A votare a favore sono stati Pd (con l'eccezione della consigliera dem, Lucia De Robertis che non ha espresso voto) Iv, M5s e gruppo Misto. L'approvazione ha scatenato proteste nel centrodestra. "Questa materia non è di competenza legislativa delle Regioni", affermano i consiglieri regionali del gruppo di Fratelli d'Italia in una nota congiunta. La capogruppo della Lega, Elena Meini, è ferma: "Per noi la vita è sacra e rimane sacra. Non possiamo far passare il messaggio come istituzioni che si può scegliere di morire". Mentre il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri, la definisce "una grave forzatura".
Secondo il presidente della Regione Toscana, Eugenio Giani, "la Toscana ha dato un segnale molto forte. Sono convinto che questo voto darà un impulso al legislatore nazionale". La questione del fine vita è stata affrontata in 15 regioni ed in alcune si è bloccata prima dell'iter in aula.
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C'è chi chiama perché è in condizioni gravi e chi lo fa perché potrebbe trovarcisi in futuro, chi lo fa per se stesso e chi per altri. Per avere informazioni su temi come interruzione delle terapie e morte volontaria assistita, sono state 13.977 le persone che negli ultimi 12 mesi hanno chiamato il Numero Bianco sui diritti nel fine vita. “Di queste – spiega Matteo Mainardi, membro del consiglio dell’associazione Luca Coscioni - 2.470 hanno esplicitamente richiesto informazioni su eutanasia e suicidio medicalmente assistito (+17% rispetto all’anno precedente) e 782 informazioni rispetto alla sedazione palliativa profonda (+35,5%). A 1.937 persone siamo riusciti a proporre e trovare delle alternative con il ricorso alle cure palliative".
Oggi, un malato terminale gravemente sofferente che vuole metter fine alla sua vita, per legge in Italia può iniziare una sedazione palliativa profonda, ovvero un trattamento farmacologico che porta all'annullamento della coscienza, in attesa che arrivi la morte. Se invece sceglie il suicidio assistito, gli ostacoli che può incontrare riguardano la burocrazia e i tempi. In assenza di una legge nazionale, in Italia questa scelta è normata dalla sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato\Antoniani, che ha legalizzato l’accesso alla procedura, ma solo a precise condizioni. Tra queste non rientrano quelle di cui soffre Laura Santi, giornalista perugina di 49 anni: la sclerosi multipla progressiva di cui soffre da 27 anni è una condizione irreversibile, che le provoca spasmi e l’ha privata di ogni autonomia. Dal 2017 non cammina più, come racconta nella sua rubrica su Vanity Fair, e dal 2022 ha iniziato una battaglia contro la sua Asl per vedersi riconosciuto il diritto al suicidio assistito. Che per ora le è stato negato.
Intanto, per far sì che i pazienti abbiano tempi certi e rapidi di risposta, le regioni iniziano a fare per conto proprio. Ecco perché siamo arrivati al caso del Governo che ha impugnato davanti al Tar il regolamento dell’Emilia-Romagna e all'approvazione, in Toscana, della prima legge regionale che assicura tempi certi ai cittadini che fanno ricorso al suicidio assistito.
Quale è quindi il problema che spinge ancora alcuni a cercare la morte in Svizzera? E perché le domande per lasciare il Biotestamento sono così poche?
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Dal dibattito nato con il caso Englaro è scaturita la legge del 2017 sul biotestamento, che permette di lasciare indicazioni sulle proprie volontà sulle cure a cui venire sottoposti, qualora in futuro non si fosse più in grado di scegliere.
Era il 18 novembre del 1992 quando Eluana, al ritorno da una festa, perse il controllo dell'auto di cui era alla guida. Aveva 21 anni e l'incidente la riduce in coma irreversibile. Il padre Beppino Englaro, convinto che la figlia non avrebbe voluto vivere in questo stato, presenta la richiesta di sospensione dell’alimentazione artificiale per la figlia, che viene respinta. Quasi 17 anni più tardi, dopo la mobilitazione e i presidi organizzati da Marco Pannella e i Radicali, il 9 febbraio 2009, ad Eluana vengono sospese alimentazione e idratazione, e lei viene liberata dallo “stato vegetativo permanente”. Quindici anni dopo, la Corte dei Conti ha condannato in appello l'ex direttore generale della Sanità della Lombardia a pagare all'erario 175 mila euro che la Regione aveva dovuto risarcire al padre, Beppino Englaro, costretto a trasferire la figlia in una struttura sanitaria in Friuli dove morì. Fu una "concezione personale ed etica del diritto alla salute", scrive la Corte dei Conti, a impedire che ad Eluana fosse interrotto il trattamento che la manteneva in stato vegetativo.
Nel 2013 i Radicali italiani e l'associazione Luca Coscioni hanno raccolto 130mila firme (ora arrivate a oltre 1,2 milioni) per una proposta di Legge di iniziativa Popolare per la legalizzazione dell'eutanasia. Le firme sono state depositate presso la Camera dei deputati sono trascorse due legislature e quella proposta di legge non è stata mai trattata. Nel 2017, però, è stata introdotta la legge sul testamento biologico, che permette di lasciare scritte le proprie volontà rispetto ai trattamenti a cui in futuro potrebbe esser sottoposto in caso di grave malattia. Una possibilità però ancora poco conosciuta anche per la mancanza di informazione istituzionale: tanto che nel 2023, a 5 anni dalla legge, era stato depositato solo dallo 0,4% degli italiani. Di qui la recente mobilitazione lanciata in oltre 100 città italiane.
Il biotestamento però risolve solo una parte del problema. Per questo Mina Welby, Marco Cappato e Gustavo Fraticelli, nel 2015, fondarono l'associazione Soccorso Civile, dichiarando l'intenzione a contribuire con atti di disobbedienza civile a che le scelte di tutti i malati potessero essere rispettate.
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La prima richiesta di aiuto al suicidio che è arrivata è stata quello di Fabiano Antoniani, noto come Dj Fabo, un ragazzo che, come tanti, nel ritornare una sera a casa, ha un incidente e si risveglia cieco, tetraplegico, con una vita completamente cambiata. "Ha fatto di tutto per curarsi, ha provato tutte le terapie possibili. Poi a sua madre e alla sua fidanzata comunica che per lui quella non era vita. Chiede di poter accedere all’eutanasia in Svizzera, ma per raggiungere la Svizzera aveva bisogno di un aiuto", spiega Filomena Gallo, avvocata cassazionista e segretaria dell'associazione Luca Coscioni.
Marco Cappato, pur sapendo che nel nostro Paese l'aiuto al suicidio è un reato previsto dal Codice penale e per il quale si rischiano fino a 12 anni di carcere, ha aiutato Fabiano ad arrivarci e poi si è autodenunciato. "In quel caso la Corte d'Assise di Milano ha sollevato il dubbio di legittimità costituzionale dell'articolo 580 del Codice penale (che avrebbe visto la condanna di Cappato) perché quell'articolo non garantisce ai cittadini la libertà individuale e di scelta. I giudici della Corte costituzionale sono intervenuti con una sentenza che ha dichiarato incostituzionale una parte dell'articolo e ha dato anche le indicazioni affinché l’aiuto al suicidio non sia considerato reato nel nostro ordinamento".
La persona che chiede di essere aiutata a morire deve formulare una richiesta al Servizio Sanitario Nazionale, questo invierà una commissione di verifica per accertarsi che siano presenti tutte e quattro le condizioni necessarie a che l’aiuto al suicidio non costituisca un reato. "Ovvero - precisa l'avvocata - il paziente deve essere pienamente capace di autodeterminarsi; deve essere affetto da una patologia da cui non è possibile guarire e che determina una sofferenza che lui avverte come intollerabile; e deve esser dipendente da un sostegno vitale. Solo se si verificano tutte e quattro queste condizioni si può accedere al suicidio medicalmente assistito. Questo fa sì che alcuni optino per la via più breve (e costosa), ovvero un viaggio per ottenere la morte in Svizzera.
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In condizioni simili a Martina si trovava Massimiliano, 44enne toscano di San Vincenzo (Livorno) affetto da sclerosi multipla, accompagnato in Svizzera per poter ricorrere al suicidio medicalmente assistito nel 2022 da Felicetta Maltese, Marco Cappato e Chiara Lalli. Sul caso di Massimiliano, e per analogia sui casi come il suo, ovvero che presentano tutti i requisiti per accedere al suicidio assistito in casa propria ma non dipendono da trattamenti di sostegno vitale, la Corte Costituzionale si è espressa nuovamente, il 18 luglio 2024, allargando le maglie di chi può accedere al suicidio assistito.
"I giudici della Consulta - spiega Matteo Mainardi, membro dell'Associazione Luca Coscioni - stavolta sono stati chiamati in causa da Tribunale di Firenze in merito al caso Massimiliano, affetto da sclerosi multipla che lo aveva paralizzato quasi del tutto fra mille sofferenze. In Italia non avrebbe avuto diritto al suicidio assistito perché non era legato a un trattamento di sostegno vitale come la ventilazione meccanica, pur se era totalmente dipendente da altri per poter vivere. Il gip di Firenze è stato chiamato a decidere, ma ha chiesto alla Consulta cosa si debba considerare 'trattamento di sostegno vitale', ai fini dell'applicazione dell'articolo 580 del Codice penale". Essere totalmente dipendente da altri per sopravvivere, come lo era Massimiliano, equivale o no a un trattamento di sostegno vitale?
Nel procedimento, l’Avvocatura dello Stato, si è costituita in rappresentanza della presidenza del Consiglio davanti alla Corte Costituzionale precisando la sua visione, ovvero le cure palliative sono lo strumento “più giusto per alleviare le sofferenze”. La prima udienza c'è stata il 19 giugno e il verdetto è del 18 luglio. Nella sentenza 135/2024, i giudici della Corte hanno confermato i paletti messi nel 2019, aumentato la platea e indicato che sarà il giudice nella sua autonomia a valutare, "sulla base dei principi espressi nella sentenza già emessa nel 2019, se una persona è incriminabile in merito alla pratica del suicidio assistito". Ma c'è un'altra novità.
La Consulta, precisa Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell'Associazione Luca Coscioni, "ha fatto un passo avanti ampliando la platea delle persone che possono accedere alla morte volontaria. Nelle richieste dei pazienti non si terrà soltanto in considerazione il fatto che siano legati a delle macchine per la loro sopravvivenza: la nozione di sostegno vitale includerà anche alcune pratiche svolte dai caregiver o dai familiari che assistono la persona malata. Per questo continueremo il nostro lavoro di aiuto ai pazienti, non escludendo altre azioni di disubbidienza civile. Oggi si apre un nuovo capitolo che ci vedrà impegnati davanti al Tribunale di Firenze".
"Con la nuova sentenza della Consulta non abbiamo ottenuto - ha detto Marco Cappato - il riconoscimento pieno del diritto a morire anche a persone non dipendenti da sostegno vitale. Ma la Corte fa passi avanti importanti nell'inerzia assoluta o l'ostilità della politica. Queste aperture sono significative e riguarderanno chi i trattamenti di sostegno vitale li ha rifiutati. Sono sei i processi a oggi incardinati che ci vedono, con l'azione non violenta, fare pressione per il riconoscimento di questo diritto".
Il primo effetto della sentenza della Consulta è arrivato dopo meno di dieci giorni. Si è sbloccato l'iter per l'accesso al suicidio medicalmente assistito di una 54enne toscana, completamente paralizzata a causa di una sclerosi multipla progressiva, che aveva rifiutato la nutrizione artificiale: la Asl Toscana nord ovest ha dato parere favorevole. E' la prima applicazione della nuova sentenza della Consulta che ha esteso il concetto di 'trattamento di sostegno vitale'.
Minaccia invece di andare in Svizzera per ottenere 'la dolce morte', Martina Oppelli, architetta di 49 anni, affetta da sclerosi multipla progressiva e paraplegica: l'Azienda sanitaria triestina per due volte le ha negato il suicidio assistito per la mancanza del requisito di dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, lei il 29 luglio 2025 ha denunciato la asl per tortura. "Il nuovo esposto arriva a seguito di ingiustificati rifiuti dell'azienda sanitaria, prima di procedere alle dovute verifiche. Tali condotte ledono la dignità di Martina Oppelli costretta a un trattamento inumano e degradante, condannata a una vera e propria tortura di Stato", chiarisce l'avvocata Filomena Gallo.
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Le persone che fanno richiesta per ottenere il suicidio medicalmente assistito, infatti, rimangono in attesa di ASL e Comitati Etici territoriali che, per svolgere la verifica delle condizioni, hanno impiegato mesi, a volte fino a due anni. Ma, "oltre a introdurre nuove restrizioni, nessun disegno di legge oggi incardinato a Palazzo Madama prevede tempi certi e idonei di risposta alla persona malata", sottolinea Filomena Gallo, avvocata e segretaria dell’Associazione Luca Coscioni.
"Ogni regione agisce in modo diverso. Un tempo che molti pazienti non hanno. Non deve più essere consentito di far attendere fra sofferenze intollerabili e condizioni che peggiorano con il rischio di perdere le ultime forze necessarie per l’autosomministrazione del farmaco letale”, dichiara Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni.
Di qui la campagna regionale “Liberi subito”, cioè, spiega il coordinatore Matteo Mainardi, "una raccolta firme per presentare proposte
di legge regionali affinché ci sia un modo uniforme di procedere in tutte le regioni e tempi di attesa che non devono superare i 20 giorni. Grazie alle firme raccolte la proposta è stata già depositata in 15 Regioni”. Dopo la Toscana, che ha approvato per prima in Italia la pdl 'Liberi Subito' sul fine vita, sono dieci le Regioni in cui si attende la discussione della legge. In Valle D'Aosta, Lazio, Campania, Sardegna, Abruzzo, Liguria, Sicilia è depositata in attesa di inizio iter; depositate proposte simili in Calabria, Puglia, Marche.
Ha fatto rumore il caso del Veneto, dove la legge, pur appoggiata dal governatore Luca Zaia, ha visto la spaccatura della maggioranza e non è passata per un voto: Fratelli d'Italia e Forza Italia, grazie anche ad una defezione nel Pd, hanno fatto valere il loro veto. Proprio Zaia, in un'intervista al Corriere della Sera, commentando la prima legge regionale sul fine vita approvata dalla Toscana ha detto: "Sul fine vita la grande ipocrisia di questo Paese è far finta che le norme non ci siano". Invece, ha proseguito, "in Italia il fine vita esiste già. Normato da una sentenza". Tuttavia "la sentenza non dice due cose: i tempi entro cui deve arrivare una risposta e chi deve gestire e somministrare il farmaco". Ma a un amministratore non devi chiedere se è a favore o contro il fine vita. Devi chiedere di applicare le leggi", sottolinea Zaia che ha quindi spiegato di aver incaricato i suoi tecnici di mettere a punto un regolamento per dare attuazione alla sentenza della Corte costituzionale del 2019.
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Vittorio Parpaglioni, ha 25 anni e oggi rischia fino a 12 anni di carcere per aver accompagnato la madre in Svizzera. Nelle pieghe della sentenza è rimasta infatti incastrata sua madre, Sibilla Barbieri, regista e attrice romana di 58 anni, volto noto della tv, malata terminale oncologica.
"Io e mia madre - racconta - siamo partiti a ottobre per andare in Svizzera: lei era una malata oncologica ormai con nessuna speranza di vita, assumeva morfina ma questo non bastava ad alleviare il suo dolore. Tre mesi prima aveva chiesto il suicidio assistito, ma a causa della decisione della ASL Roma 1, le era stata negata la possibilità di morire a casa sua perché non dipendeva da trattamenti di sostegno vitale. Quindi siamo dovuti partire per Zurigo. Io ho scelto di accompagnarla in questo viaggio".
Un viaggio in aereo e pullman di cinque ore, che, spiega, è stato estremamente faticoso per Sibilla, malata terminale che nel frattempo aveva dovuto far ricorso anche all'ossigeno. "Era in condizioni in cui una persona normale avrebbe fatto anche fatica solo ad alzarsi dal letto, negli ultimi giorni non riusciva più a parlare. Quel viaggio è stato un dolore aggiuntivo rispetto alla morte stessa. È stato un esilio forzato. Non era giusto che lo facesse", racconta con voce commossa ma ferma.
L'insegnamento più grande che Sibilla gli ha lasciato, dice, “è un grande coraggio di vedere la verità. Lei ha ammesso una delle cose più difficili: la propria morte. Questo non ha chiuso delle porte ma ha aiutato ad aprirne altre alle persone che le volevano bene e che lei lasciava, perché ci ha aiutato a capire cosa fare". Questo percorso ha fatto in modo tale che Vittorio e la sorella fossero in qualche modo preparati: "ci ha accompagnati verso il lutto per la sua dipartita, si può soffrire anche insieme alla persona che sta per andarsene e questo ci ha aiutato nell'affrontare la sua mancanza".
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"C'è una drammatica mancanza di assistenza a domicilio nel fine vita. Le persone spesso si trovano ad affrontare questo momento in stato di grande solitudine e l'alleanza medico-paziente è sempre più rara". A denunciarlo è il presidente nazionale dell'Associazione dei Medici Cattolici Italiani (Amci), Filippo Maria Boscia. Specializzato in ginecologia, con 55 anni di esperienza, all'Eutanasia contrappone "la eubiosia, ovvero una vita serena, nel rispetto della dignità del malato terminale. Perché - spiega all’ANSA - l'isolamento, il sentirsi un peso per gli altri, sono i fattori più importanti che portano a volerla far finita: la sfida è una vera presa in carico del malato che si trova in queste condizioni".
Un medico, in sostanza, non abbandona il paziente ma non fa accanimento. “Quando è il momento deve anche 'lasciar morire', ma questo – spiega - è diverso dal far morire. Il difficile equilibrio tra queste due strade si trova nella proporzionalità delle cure ed è a volte difficile capire dove sta questo limite, che deve essere affidato alla coscienza e responsabilità dei medici".
Non si può invece chiedere al medico il dovere di aiutare qualcuno a morire perché “se ne snatura la figura e va anche contro quanto espressamente previsto nel Giuramento di Ippocrate: il medico è chiamato a curare e prendersi cura, anche quando per il paziente non ci sono speranze. Odio la definizione di ‘paziente terminale’. Mio padre a 82 anni, con diagnosi di neoplasia metastatizzata, fu congedato da un illustre collega che mi disse: portalo a casa perché non c'è più nulla da fare. Mio papà – racconta - è vissuto 14 anni dopo questa aspra sentenza", precisa Boscia. Proprio quando non c’è più nulla da fare è lì che inizia il vero accompagnamento, “è lì che percorsi di eubiosia devono contrastare l’eutanasia”.
Fra medico e paziente deve stabilirsi un'alleanza, che oggi è svanita. "I servizi di assistenza domiciliare di supporto non sono universalmente presenti – continua Filippo Boscia - così chi sta percorrendo le sue ultime miglia non ha cure adeguate. E non alludo solo alle cure palliative per il dolore, ma alla presa in carico, al dialogo, al prendere per mano per aiutare a oltrepassare il confine con serenità". E alla domanda se ha mai avuto qualche paziente che gli aveva chiesto come farla finita, il presidente dei medici cattolici risponde: "Certo! Ma ho sempre cercato di offrire ascolto e ho affrontato soprattutto la sofferenza morale. Nella nostra società ci siamo molto dedicati a curare sintomi e organi, ma poco o nulla abbiamo fatto per la cura integrale della persona, per la sofferenza mentale e per adeguate reti di supporto. Di conseguenza c'è il rischio anche che possano essere esercitate pressioni sul paziente in stato di fragilità da parte di familiari schiacciati da problemi come i costi e gli impegni lavorativi".
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La Corte costituzionale, sia nel 2019 che con l'ultima sentenza del 18 luglio 2024, nell'individuare i requisiti per ottenere il suicidio assistito, ha ribadito la necessità che il Parlamento emani una legge completa in materia. Ma sono passati cinque anni da quella sentenza e questa ancora non c’è. Una proposta di legge, nella scorsa legislatura, era stata approvata a Montecitorio, ed è poi decaduta a seguito dello scioglimento delle Camere.
E' ripartito da questa Alfredo Bazoli, senatore Pd in Commissione Giustizia, che, forte della sottoscrizione di un terzo dei componenti, ha riproposto il testo a Palazzo Madama. Oltre al suo, ne sono stati presentati altri quattro disegni di legge: uno del dem Dario Parrini; uno della pentastellata Elisa Piro, uno di Avs a prima firma di Giuseppe De Cristofaro e uno da Adriano Paroli di Forza Italia, firmato anche dal capogruppo Maurizio Gasparri, al momento l'unico da parte della maggioranza. Quest’ultimo testo, che riprende la proposta di Paola Binetti della scorsa legislatura, prevede una pena attenuata nel caso di aiuto al suicidio da parte di conviventi, modifiche che limitano il ricorso al testamento biologico e l'obiezione di coscienza per il medico.
Se per l'opposizione questo significa fare dei passi indietro al nostro ordinamento, Paroli obietta: "La Consulta ha indicato al Parlamento un vuoto da colmare, ma la potestà legislativa spetta a quest'ultimo. Su temi come questi la politica dovrebbe trovare il massimo della condivisione, cercando di contemperare i valori in gioco, ma nel rispetto della sensibilità delle forze politiche elette". D'altronde, il vuoto di legislativo sussiste dopo oltre un decennio di governi di centro-sinistra: "se ci fosse stato un parere netto, si sarebbe approvata la legge", osserva Paroli.
La discussione sul fine vita comunque è stata incardinata in Senato e il provvedimento ha come relatore Pierantonio Zanettin di Forza Italia per la Commissione Giustizia e Ignazio Zullo per la Commissione Affari sociali. "Per ascoltare le tante voci in materia - spiega Bazoli all'ANSA - è stato predisposto un ciclo di audizioni di esperti di diverse professionalità, da anestesisti a ex presidenti della Corte costituzionale e bioeticisti ma anche questa settimana il tema non è in agenda. Si procede a rilento come ho denunciato più volte in Commissione, mentre il testo dovrebbe, in base alla procedura parlamentare, avere una corsia privilegiata e arrivare in Aula entro tre mesi dalla presentazione".
“Auspichiamo si arrivi a un testo con il più ampio accordo possibile – spiega all’ANSA Zanettin -. Non sarà facile ma è giusto che ci sia un confronto politico e che non sia tutto demandato ai giudici”.
Come per la maggior parte delle questioni bioetiche le posizioni sono trasversali agli schieramenti politici. Ad intervenire sul tema era stato di recente lo stesso il ministro della Giustizia Carlo Nordio: "La Corte Costituzionale su questo tema sembra camminare in modo più veloce e in modo più pragmatico rispetto al Parlamento". Parole che fanno intravedere la difficoltà di arrivare a un accordo politico su un tema che riguarda aspetti delicati, come il rapporto di ciascuno con la propria vita e la propria morte.
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Sul tema la Santa Sede è sempre stata ferma. “L'eutanasia è un crimine contro la vita". Sì, quindi, alle cure palliative, no all'aiuto al suicidio. Da qui muove il disegno di legge di Forza Italia presentato in senato da Adriano Paroli, che prevede alcuni paletti rispetto alla normativa vigente e alla proposta di legge che la scorsa legislatura era stata approvata alla Camera. "Non si poteva certo pensare che la maggioranza avesse rinunciato a fare proposte su un tema così delicato dal punto di vista etico e della sensibilità personale", spiega all'ANSA Paroli.
"La vita è un diritto e un valore a prescindere, mentre non è un diritto la morte. Per questo non condividiamo nessuna norma che autorizzi a togliere o togliersi la vita, altrimenti come vediamo all'estero, si arriva all'eutanasia dei bambini", precisa Paroli. "Comprendo che l'angoscia di ricevere una diagnosi che non dà scampo e che porta sofferenze faccia pensare che sia meglio farla finita. Il legislatore deve tutelare i pazienti ma anche i valori. E il vero argomento è se possiamo decidere della vita nostra o di un altro. Noi crediamo di no. Dobbiamo accompagnare al meglio alla morte, ma non provocarla".
Per questo il ddl Paroli non prevede la depenalizzazione del reato di suicidio assistito (oggi punibile, al di fuori dei casi previsti dalla sentenza Cappato, con pene da 5 a 12 anni di carcere) ma contempla una riduzione della pena stessa, prevedendo una reclusione da sei mesi a due anni se chi fornisce l'aiuto convive stabilmente con il malato e si trova in stato di "grave turbamento determinato dalla sofferenza altrui". "Di fatto – argomenta il senatore Paroli - è una pena molto lieve, gestita senza carcere. Ma, per quanto simbolica, ci deve essere perché sancisce il fatto che nessuno ha diritto a provocare la morte di un'altra persona, anche se è in fin di vita o soffre".
Diverso è decidere di tenere in vita una persona a tutti i costi: in questo caso sono i medici che, con buon senso, dicono quando è il caso di evitare un accanimento terapeutico. "Ma da qui a somministrare un farmaco letale è diverso. Anche perché - prosegue - non sappiamo in quali contesti familiari maturano determinate scelte. Laddove c'è il suicidio assistito il malato diventa un algoritmo: quanto costa tenerlo in vita, quanti anni ha, quanta speranza di vita. Farlo morire rischia di essere una scorciatoia. Per questo, comprendiamo e prevediamo un'attenuante, ma non possiamo dire che si possa fare".
A scatenare malumori è il fatto che il ddl introduce nuovi paletti anche a quanto previsto dalla legge sulle Disposizioni anticipate di trattamento o Biotestamento. In particolare, prevede che l’idratazione e l’alimentazione, pur se garantite attraverso ausili tecnici, "non sono considerati trattamenti sanitari", quindi non si può scegliere se interromperli (come è oggi previsto e come fu nel caso Englaro dopo 17 anni in stato vegetativo). "Viene meno la buona fede se si dice che la nutrizione è trattamento sanitario: l'idea che la morte di Eluana sia arrivata dopo 5 giorni di mancata nutrizione la trovo atroce", commenta Paroli.
Altra contestata novità inoltre riguarderebbe la possibilità dell'obiezione di coscienza per i medici chiamati dalla propria azienda sanitaria a fornire assistenza al suicidio: "nessun medico, figura chiamata a cercar di salvare vite, deve trovarsi obbligato a contribuire a toglierla", conclude Paroli. D'altronde era di questo avviso anche il parere del Comitato Nazionale di Bioetica pubblicato nel 2019.
Mentre su una cosa i senatori di diversi orientamenti potranno convergere: la necessità di potenziare e rendere effettivo il ricorso alle cure palliative, ancora disomogeneo nel Paese.
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Riprenderà al Senato, il 17 settembre, l’iter del disegno di legge che deve disciplinare il fine vita mentre sono iniziate a giugno le prime audizioni a Palazzo Madama sui cinque testi che affrontano la punibilità del suicidio medicalmente assistito. Tra i primi ad essere ascoltati dalle presso Commissioni Giustizia e Sanità sono stati i medici rianimatori.
Il professor Alberto Giannini, del Comitato etico della Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), ha premesso l’importanza del diritto alle cure palliative e la necessità di dare completa e immediata attuazione alla legge 38 del 2010. Le cure palliative, però, non si contrappongono alla eventuale scelta del paziente di ricevere un aiuto al morire, oggi prevista, per pazienti in determinate condizioni. Tra queste condizioni la sentenza del 2019 della Corte costituzionale prevede anche la dipendenza da un trattamento di sostegno vitale, ma proprio su questo punto è stata sollevata una nuova questione di costituzionalità su cui è stata da poco emessa la sentenza. Il quesito posto era in sostanza: l’aiuto al suicidio assistito fornito a chi è tenuto in vita da un presidio medico si differenzia, su un piano costituzionale, da quello dato a una persona non attaccata a macchinari, ma totalmente dipendente da altri per tutte le sue funzioni vitali, incluso il mangiare e il bere?".
In merito a questo, l'esperto ha analizzato la difficoltà di definire il trattamento di sostegno vitale, il requisito più ambiguo previsto dalla sentenza per le persone malate a determinate condizioni. "Nei trattamenti sanitari rientrano a tutti gli effetti anche idratazione e nutrizione, poiché rispondono a precisi protocolli". "Oggi a differenza di parecchi anni fa - ha detto Giannini - non esiste una definizione di trattamento di sostegno vitale chiara e accettata in tutto il mondo. Nella nostra attività di trent’anni fa era molto chiaro: era il vicariare una funzione vitale, respirazione, l’attività cardiaca, la funzione renale, l’uso di alcuni farmaci. Oggi tutto questo si è allargato e non abbiamo una definizione così nitida che valga in tutte le circostanze. Vorrei proporre di considerare sempre l’elemento soggettivo della gravosità”.
Per l’Associazione Luca Coscioni le precisazioni della Siaarti sull’assenza di una definizione universale dei trattamenti di sostegno vitale confermano quanto rilevato già in alcuni casi: "le commissioni delle ASL che hanno potuto verificare le condizioni di ‘Anna’ a Trieste hanno applicato un'interpretazione del requisito del sostegno vitale in base alle singole condizioni delle persone malate", spiega Filomena Gallo, segretaria nazionale. "Per Anna, in chemioterapia, l’assistenza continua dei suoi cari era un sostegno vitale che le consentiva la sopravvivenza essendo lei completamente paralizzata. Una interpretazione dei requisiti in senso restrittivo avrebbe limitato la loro libertà di scelta".
Sulla definizione su cosa oggi si possa intendere per ‘forma di sostegno vitale, aggiunge Mario Riccio, anestesista che aiutò Welby a morire, "non è possibile attenersi alla imprecisa e sbrigativa definizione che ne ha voluto dare il Comitato Nazionale per la Bioetica che si è rifatto a un ormai vetusto concetto di mera ‘sostituzione di organo vitale’. Questa definizione è in contrasto con numerose posizioni di comitati etici ospedalieri”.
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Suora francescana per 20 anni, origini altoatesine, accento tedesco. Mina conobbe Piergiorgio al Sert dove lei prestava servizio, si sposarono nel 1978 a Roma, nella parrocchia di Garbatella. Oggi ha 87 anni, un sorriso accogliente e continua a fare quello che le è sempre venuto bene: aiutare gli altri. Era il 2006 quando Piergiorgio Welby, giornalista e attivista affetto da distrofia muscolare - malattia che causa l'atrofia progressiva della muscolatura scheletrica – tracheostomizzato e attaccato a un respiratore, scrisse una lettera al Presidente della Repubblica, chiedendo di poter morire. Giorgio Napolitano rispose che era un tema che deve essere affrontato con una legge: siamo nel 2024 e ancora non c'è. Nello stesso anno, dopo 88 giorni, dopo aver ricevuto il diniego del tribunale di Roma, veglie organizzate in 50 città e un acceso dibattito pubblico, Piergiorgio venne sedato e staccato dal respiratore, sulle note di Bob Dylan con l’aiuto dell’anestesista Mario Riccio che eseguì la volontà del paziente subì per questo un processo, conclusosi nel 2008 con un'assoluzione.
Le ultime parole che Mina ha detto al marito: "scusa se ti ho tenuto con me più di quanto tu avessi voluto". Piergiorgio le risponde chiedendole di portare avanti il suo blog. Lei in realtà ha fatto molto di più in questi anni: come copresidente dell'associazione Luca Coscioni ha partecipato a banchetti, fiaccolate e raccolte firme per la legge di iniziativa popolare fino all’accompagnamento in Svizzera.
Tra i fondatori dell'associazione Soccorso civile, nel 2017 ha accompagnato Davide Trentini a Zurigo, aiutandolo nel disbrigo di procedure burocratiche. “Davide – spiega Mina - era malato di sclerosi multipla dal 1993. Aveva 53 anni e la sua vita era diventata un calvario, era pieno di dolori ovunque. Per questo ha chiesto di accedere alla morte volontaria in Svizzera, siamo partiti insieme ad aprile 2017, fu un viaggio di 5 ore ma drammatico, in cui dovemmo fermarci 7 volte per i disagi che gli provocava. Poco prima che il farmaco letale venisse iniettato Davide mi disse: vado in vacanza. Io gli feci un ultimo sorriso”.
Al ritorno, insieme a Marco Cappato Mina si è autodenunciata alla Procura di Massa. Nel 2021 sono stati assolti dalla Corte d’Assise di appello di Genova perché, a seguito della decisione della Consulta sul caso Cappato/Fabo, l'aiuto fornito non configurava reato.
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Come spiegato anche da Papa Francesco: "la morte va accolta, non somministrata". Questa è anche la posizione di Pro Vita & Famiglia onlus. "La vita va difesa anche quando c'è sofferenza e oggi abbiamo cure palliative che permettono di togliere il dolore. Negli ultimi anni abbiamo visto invece un susseguirsi di colpi di mano che hanno indebolito il senso del dono della vita". A spiegarlo è Francesca Romana Polelli, membro del consiglio direttivo di Pro Vita & Famiglia, che si è distinta per campagne di sensibilizzazione contro l'eutanasia che hanno fatto molto rumore. "C’è il rischio, se si continua su questa strada, - aggiunge - di arrivare a una deriva in cui si tende a eliminare il debole, il fragile, quello che può rappresentare un peso per una società che vuole tutto perfetto e performante. Come si è visto nel caso di Terry Schiavo, che divise gli Stati Uniti".
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La difficoltà di trovare una soluzione si riflette anche nel parere espresso dal Comitato nazionale di bioetica (Cnb), che svolge sia funzioni di consulenza presso il Governo, il Parlamento e le altre istituzioni. Il Comitato nazionale di bioetica, chiamato in causa dal Ministero della Salute, si è diviso in merito alla questione del suicidio assistito e sulla definizione dei Trattamenti sanitari di sostegno vitale (Tsv), uno dei requisiti essenziali per poter richiedere ai comitati etici territoriali l'aiuto per il suicidio medicalizzato. Il Cnb ha infatti espresso un parere di maggioranza ed uno di minoranza rispondendo al quesito del Comitato etico della Regione Umbria "circa i criteri da utilizzare per distinguere tra ciò che è un trattamento sanitario ordinario e ciò che debba essere considerato un trattamento Tsv", ovvero lo stesso nodo su cui la Corte costituzionale si è da poco espressa.
Nel parere di maggioranza approvato a luglio si ritiene che i Trattamenti sanitari di sostegno vitale "debbano costituire una vera e propria sostituzione delle funzioni vitali, e che la loro sospensione comporti la morte del paziente in tempi molto brevi". In sostanza, vengono considerati esclusivamente 'di sostegno vitale' come quei trattamenti in cui l'individuo è attaccato ad una macchina per poter sopravvivere. "Tale interpretazione è però restrittiva perché determina di fatto una riduzione del numero di soggetti che possono richiedere l'aiuto per il suicidio assistito", commenta Lorenzo D'Avack, già presidente del Cnb ed attualmente membro del Comitato .
Opposto il contenuto del parere di minoranza, che vede tra i firmatari lo stesso D'Avack: "L'interpretazione data dei Tsv dal parere di maggioranza - afferma - determina una discriminazione tra i malati. Nel parere di minoranza si ritiene invece che i Tsv non siano solo quelli riconducibili all'azione di un dispositivo meccanico, ma anche altri trattamenti sanitari in assenza dei quali il soggetto andrebbe comunque verso il decesso ma in tempi più lunghi".
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Quando si decide di mangiare in una delle tante location della penisola come queste, ci si predispone anche ad ascoltare una storia, a vivere una emozione, a comprendere meglio un progetto fatto di storie, di donne e di uomini, giovani e adulti, di piatti, agricoltura sostenibile, inclusione sociale, luoghi e tradizioni: tutti consapevoli che il reinserimento lavorativo genera speranza
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