(di Francesca Brunati) Due miliardi di euro. E' il maxi risarcimento chiesto alla famiglia Riva, a Riva Fire e a Riva Forni Elettrici da Piero Gnudi, Corrado Carrubba ed Enrico Laghi, i tre commissari dell'Ilva ora in amministrazione straordinaria. Mentre oggi i sindacati hanno chiesto al Governo, al Presidente della Regione Puglia e agli stessi commissari di concedere l'integrazione salariale ai lavoratori del polo siderurgico e sottoposti a contratto di solidarietà, nei giorni scorsi è stata depositata la richiesta danni alla sezione specializzata in materia di imprese del Tribunale civile di Milano. In questo modo ha preso il via una causa che ha lo scopo di "reintegrare il patrimonio di Ilva anche (se non soprattutto) nell'interesse dei creditori concorsuali". Una causa che, nel caso in cui andasse a buon fine, servirà anche per recuperare il miliardo e 200 milioni sequestrato in Svizzera agli ex imprenditori nel settore dell'acciaio nell'ambito dell'indagine della Procura milanese per evasione fiscale e che ora si trova 'congelato' a causa di un ricorso vinto in primo grado delle due figlie di Emilio Riva, il patron del gruppo morto due anni fa.
Tale somma, 'sbloccata' dal giudice Fabrizio D'Arcangelo, sarebbe dovuta servire per il risanamento ambientale dell'azienda siderurgica tarantina.
Secondo i tre commissari, gli ex soci di controllo di Ilva, "riconducibili a Riva Fire e alla famiglia Riva" nel 2012 avrebbero "ideato e attuato con lucida determinazione nell'arco di sei mesi" un disegno articolato in più fasi, attraverso un'operazione societaria, la quale "anziché accompagnare" il colosso siderurgico "nell'ormai inevitabile percorso di risanamento ambientale" l'hanno privata "delle risorse finanziarie occorrenti (...) per attuare gli ingenti investimenti" per la bonifica e per garantire la continuità imprenditoriale. E poi avrebbero "isolato Ilva dal resto del gruppo Riva attraverso una scissione della capogruppo Riva Fire.
Nello stesso periodo, - si legge nell'atto di citazione - significativamente, gli esponenti della famiglia Riva rassegnavano le dimissioni dalle cariche detenute in Ilva per rimanere a capo della Riva Forni Elettrici (la "parte buona del mondo Riva"), newco beneficiaria della scissione, nel quale sono confluite la tedesca Stahl (in precedenza rimborsata del suo credito di un miliardo) "e le società "casseforti" da questa (...) acquisite, nonché Riva Acciaio S.p.A. ("Riva Acciaio"), la cui attività produttiva, essendo svolta tramite forni elettrici, comporta minori impatti e responsabilità ambientali".
In sostanza, il disegno degli eredi Riva, accusati di "abuso di direzione e coordinamento" sarebbe stato all'origine degli interventi della magistratura di Taranto e avrebbe portato una società che quattro anni fa valeva duemila miliardi all'attuale stato di insolvenza mettendola, quindi, nelle condizioni non solo di non poter far fronte ai debiti ma anche di non poter provvedere al risanamento ambientale chiesto dalla magistratura e voluto anche dal Governo.
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