Nel processo con rito abbreviato in
cui era contestato l'omicidio di Giuseppe Mizzi, vittima
innocente di mafia, ucciso per errore nel marzo 2011 a
Carbonara, il gup del Tribunale di Bari Sergio Di Paola ha
inflitto - otre all'ergastolo nei confronti del presunto
mandante del delitto, il boss Antonio Battista - altre 58
condanne a pene comprese fra i 20 anni e i 6 mesi di reclusione.
Si tratta di presunti affiliati al clan Di Cosola, tra cui lo
stesso boss Antonio, da alcuni mesi collaboratore di giustizia,
e sua moglie Rocca Palladino. I due sono stati condannati
rispettivamente a 6 anni e ad un anno e 2 mesi di reclusione. La
moglie del boss era accusata insieme con le altre donne di
essere la cassiera del clan e di riportare agli affiliati gli
ordini impartiti dal marito detenuto in carcere.
Le condanne più elevate a 20 anni di carcere, sono state
inflitte nei confronti di sei pluripregiudicati baresi, accusati
di gestire per conto del clan il traffico di droga sul
territorio e le estorsioni ai costruttori ai quali, stando alle
indagini dei Carabinieri, imponevano l'acquisto di cemento
scadente da un'azienda a loro vicina - per questo l'operazione
fu chiamata 'Pilastro' -, oltre a pretendere 100 euro per ogni
slot machine che obbligavano bar e sale giochi ad installare.
Condannata a 7 anni di reclusione la moglie di Battista,
Lucia Masella, collaboratrice di giustizia che con le sue accuse
nei confronti del marito ha contribuito a far riaprire il caso
sull'omicidio Mizzi. Tra gli imputati c'era anche il
pregiudicato Emanuele Fiorentino, condannato a 20 anni per
associazione mafiosa e droga, su cui pende un'altra condanna a
20 anni di carcere per l'omicidio Mizzi, in qualità di esecutore
materiale del delitto. Gli imputati rispondevano a vario titolo
di associazione mafiosa, estorsione, traffico di droga e armi.
Riconosciuto anche il risarcimento danni nei confronti delle
costituite parti civili, i familiari di Mizzi, due imprese edili
e l'Ance Bari e Bat.
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