"Anche io ho scritto cose da tormentarsi sul divano, tipo Marinella (…). Però ogni tanto un po' di impegno può, forse, servire. Non so fino a che punto. Serve a far parlare di certi argomenti. Non serve sicuramente a fermare nulla, guerra compresa". Così diceva Fabrizio De André (Genova, 18 febbraio 1940 - Milano, 11 gennaio 1999), il poeta sempre dalla parte degli ultimi, il cantautore dell'animo umano, punto fermo nella formazione personale e culturale di intere generazioni. Nel giorno in cui avrebbe compiuto 85 anni, la Sala della Regina della Camera dei Deputati ha accolto '… Ma tu rimani, buon compleanno Faber', omaggio voluto dalla Presidenza della VII Commissione Cultura e organizzato da AssoConcerti, che ha riunito istituzioni, colleghi, affetti e anche ragazzi delle scuole superiori.
"Oggi qui c'è la vice presidente della Camera, ma c'è anche una persona che a 17 anni suonava in una cover band di Fabrizio De André che si chiamava Anime salve - esordisce l'onorevole Anna Ascani - A testimoniare che le sue parole non sono tramontate, ma più vive che mai, che parlano all'Italia di oggi e dell'Italia di oggi, sono anche i giovani che portano le sue canzoni a Sanremo", come il vincitore Olly nella serata dei duetti.
"De André passava per uomo autorevole e serioso, invece era una persona molto simpatica, autoironica e di grande dolcezza d'animo", ricorda il sottosegretario Gianmarco Mazzi, al suo fianco nei tanti anni da organizzatore di spettacolo. "Fabrizio De André appartiene alla tradizione letteraria e poetica, oltre che musicale, del Novecento italiano - aggiunge il presidente della Commissione cultura, Federico Mollicone - Se oggi ci troviamo qui non è solo perché ha scritto capolavori ancora ascoltati da tutti, ma perché è stato un evocatore di mondi, un raccontatore di storie uniche e universali, che raccolgono luoghi, tradizioni, dialetti, persone". "Un uomo e un artista - concorda il presidente di AssoConcerti Bruno Sconocchia, al tempo suo manager - che ci ha lasciato un'eredità non solo musicale, ma culturale e sociale centrata sulla capacità critica, l'attenzione per il diverso e l'emarginato, la ricerca di giustizia e di libertà".
Poi, tra video d'archivio, le note di Paola Turci e Paolo Fresu, gli aneddoti di Gino Castaldo, si passa al De André più personale con la compagna di una vita, Dori Ghezzi, oggi presidente della Fondazione Fabrizio De André, con cui l'Assessore alla cultura di Roma Capitale, Massimo Smeriglio sta già lavorando "alla prossima edizione del premio De André, a Roma, nel quartiere della Magliana, dove c'è una piazza a lui dedicata".
Si parte dal rapimento del 1979 e quei quattro mesi vissuti nelle mani dell'anonima sequestri sarda. "Uno dei rapitori - racconta Ghezzi - disse che preferiva Guccini. Fabrizio gli rispose: potevate prendere lui allora". Qualche mese dopo la liberazione, scrisse L'indiano, in cui esprimeva solidarietà ai suoi rapitori, anche loro 'vittime' come gli indiani d'America.
"Dopo quel disco i rapimenti non son più accaduti - prosegue Ghezzi - A qualcosa è servito, si sono un po' vergognati". Ma quell'episodio, risponde ai ragazzi, "ci ha insegnato il valore del concetto di libertà". E poi ancora ai ragazzi Ghezzi dice: "Fabrizio ha sempre ammesso di non avere certezze in tasca. Quello che diceva era ciò che avvertiva in quel momento, ma poi poteva essere smentito".
Infine, la canzone più rappresentativa della sua interiorità? "Non ha mai voluto apparentemente cantare se stesso, tranne che in Hotel Supramonte. Dei suoi amori, ad esempio, non ne parlava, se non quelli passati. Oppure ti sembrava raccontasse vite di altri e invece era lui. Possibile, ma non ho mai voluto scoprirlo neanche io", conclude.
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