Il giudizio sull'ex Nar Gilberto
Cavallini "si è celebrato a distanza di più di 40 anni dal
tragico fatto delittuoso che ha scosso, nel profondo, la
coscienza collettiva del nostro Paese. Verrebbe dunque da
pensare che sia un mero esercizio storicistico, più che
giuridico, con sostanziale inutilità di un processo penale.
Invece così non è, se - ed in quanto - la ricostruzione dei
fatti non si limiti ad essere un 'affresco storico', ma sia un
atto capace di cogliere, al di là di ogni ragionevole dubbio,
aspetto di verità sulla contestazione di concorso nel reato".
E' quanto scrivono i giudici della Prima sezione penale della
Corte di Cassazione, nelle motivazioni della sentenza che lo
scorso gennaio ha reso definitiva la condanna all'ergastolo per
Cavallini per la strage di Bologna del 2 agosto 1980, in
concorso con gli altri ex Nar, Giusva Fioravanti, Francesca
Mambro e Luigi Ciavardini. L'ex Avanguardia Nazionale Paolo
Bellini è, invece, in attesa del terzo grado di giudizio dopo
l'ergastolo confermato dalla Corte d'Assise d'Appello di
Bologna.
"La verità processuale, in rapporto alla commissione di reati
di enorme gravità e che non tollerano prescrizione, è uno dei
compiti essenziali di uno Stato di Diritto ed è quello che la
Magistratura è tenuta ad offrire al popolo italiano, nel cui
nome amministra giustizia. Esiste un diritto all'accertamento
dei fatti, in casi di crimini di particolare gravità, che non si
ricollega alle sole vittime, ma che appartiene all'intera
collettività", sottolineano i giudici di Cassazione.
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