(di Daniela Giammusso)
"Quando qualcosa non riesce, non va
avanti, chi lavora a studio con me lo sa, io chiedo sempre: qual
è la cosa che ti piace di più di questo progetto? Levala! Se tu
levi la parte che ami di più, tutto torna sereno e funziona".
Parola di Massimiliano Fuksas, archistar mondiale di opere
emblematiche come la Nuvola all'Eur, il Peres Center for peace
di Giaffa o il nuovo terminal dell'Aeroporto di Shenzhen-Bao'an
in Cina, per un pomeriggio tornato lì dove "tutto" è cominciato,
la Facoltà di Architettura della Sapienza di Roma.
È infatti agli studenti che oggi sarebbero suoi colleghi, che
Fuksas ha voluto dedicare la prima presentazione pubblica di E'
stato un caso, suo ultimo e autobiografico libro edito da
Mondadori (tra i prossimi appuntamenti, l'incontro al Maxxi del
23 maggio).
Un titolo che non è solo un titolo, ma anche una chiave di
lettura dell'approccio di Fuksas alla progettazione e alla
realtà: un intreccio di scelte, intuizioni e casualità che hanno
contribuito a plasmare un linguaggio architettonico unico e
riconoscibile a livello mondiale.
"In realtà - rivela lui - avevo in mente un altro titolo: No
space, no time, perché non esiste spazio architettonico e
neanche tempo". Il volume, come anche l'incontro con i ragazzi,
è un lungo viaggio tra aneddoti, progetti, ricordi, confessioni,
da "è la luce che tiene in piedi, non la muratura" al ricordo
della perdita del padre a soli sei anni o l'incontro con mentori
come Bruno Zevi. Una grande lezione su cosa è e come si fa
architettura, in cui subito ammette che lui a quella facoltà e a
questo mestiere non pensava affatto. "A 17 anni giravo l'Europa
in autostop e volevo fare il pittore - racconta - Ma quando lo
dissi a mia madre lei subito sentenziò: vedo già l'ombra del
fallimento dietro le tue spalle. Mi iscrissi quindi ad
Architettura e qui venni considerato il peggior studente mai
iscritto in tutta la storia della facoltà. Ricordo gli esami del
biennio come Geometria descrittiva 1: ancora non ho capito cosa
sia", confessa tra le risate dei ragazzi. "Scusate, so che è
diseducativo ma qui oggi è la mia rivincita - sorride - Quando
ho deciso di fare l'architetto? Ancora non l'ho deciso, ma la
svolta è avvenuta a Londra alla fine del biennio quando lavoravo
in un pub. Un collega mi parlò dello studio Archigram. Lo andai
a visitare e trovai un grande laboratorio, dove tutti erano
all'opera. Sembrava una fabbrica di sogni. 'Se questa è
l'architettura', mi dissi, 'allora la faccio'. Al rientro in
Italia, la mia carriera iniziò davvero".
Laureato nel 1969, dopo le contestazioni del '68 in cui era in
prima fila, "non volli un punto in più e presi con orgoglio 107,
l'unico del mio anno". Oggi, dice, "il 99% dei miei progetti li
ho realizzati con Doriana Fuksas, mia moglie da un secolo". Un
consiglio per iniziare la propria carriera? "Non ho mai dato
consigli neanche a me stesso, figuriamoci se posso darne a voi -
risponde a uno studente - Ma una cosa posso dirla: fate un
bilancio di quante volte dite 'sì' al vostro cliente. Se i 'si'
sono maggiori dei 'no', avete sbagliato tutto. Se i 'no' sono di
più, allora avete azzeccato".
Quanto a uno sguardo sull'oggi, "stiamo tornando al medioevo
- dice - Come allora, si sono rimessi insieme il potere
economico e il potere politico. Il primo a farlo fu Berlusconi -
prosegue guardando agli Stati Uniti - Ora vediamo 1200 ricchi e
4 miliardi di persone che lavorano per loro. Questo mi angoscia.
Sono convinto, però, che l'eguaglianza tornerà nella storia
dell'umanità, anche se ora non sembra possibile. La gente vivrà
meglio, ma avverrà senza un partito politico. Non c'è altra via
d'uscita".
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