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Rocco Hunt, "la nostalgia di chi ha lasciato sua terra"

Rocco Hunt, "la nostalgia di chi ha lasciato sua terra"

"Censura? Non diamo colpa alle canzoni se la famiglia assente"

SANREMO, 09 febbraio 2025, 17:37

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Quindici anni fa è partito dalla periferia di Salerno per conquistare le vette delle classifiche, "e intorno a me in tanti mi dicevano che non sarei mai stato nessuno, soprattutto con un genere in quel momento poco diffuso come il rap. Amici e familiari che mi volevano bene e si preoccupavano preferivano per me un terreno già battuto, una professione normale. In pochi ci credevano. E oggi c'è l'orgoglio di dire che c'ho creduto, che ce l'ho fatta partendo da zero. Ora raccolgo i frutti del duro lavoro". Rocco Hunt, 30 anni il prossimo novembre, torna per la terza volta al festival di Sanremo con il brano Mille vote ancora, dopo aver trionfato nel 2014 tra i Giovani con il brano Nu juorno buono - prima vittoria di un brano hip hop e di un brano in lingua napoletana nella storia delle Nuove Proposte, aprendo così la strada alle nuove generazione - e partecipato nel 2016 nella sezione Campioni con Wake Up. E torna per raccontare la sua storia, che è anche quella di tanti altri giovani che hanno lasciato la propria terra per raggiungere obiettivi e sogni.
    "Torno dopo 9 anni, cresciuto, con qualche anno di esperienza nel campo musicale e in quello personale, torno genitore e con visione della vita più matura - racconta all'ANSA Rocco, che da tempo si è trasferito a Milano e all'attivo ha oltre 40 dischi di platino collezionati tra Italia, Spagna e Francia dove ha raggiunto anche un disco di Diamante -. È la nostalgia di un ragazzo che rimpiange gli amici, il quartiere, quello che ha lasciato, ma con la positività nel ritornello, che mette la speranza al centro di tutto. E torno al festival per cercare di far capire chi è Rocco Hunt oggi".
    "Me manca assaje mamma mia, 'a casa mia dove ancora si muore per niente a vent'anni. 'Sti figlie anna capi', 'sta guerra adda ferni'", rappa nel brano, consapevole che la nostalgia non cancella "anche le cose che odiavo, le stesse che mi hanno fatto andar via". "Ho lasciato pregi e difetti, Salerno mi ha dato tanta ambizione e tanta fame, ma restituisce poche opportunità soprattutto ai giovani. Ho sempre usato il megafono di Sanremo per trasmettere dei messaggi che potessero andare oltre il testo. Se in pochi parliamo di sociale al festival, la colpa non è di nessuno: ognuno parla di ciò che sente".
    Tra le cose che rimpiange della sua terra, oltre all'odore del caffè dalla moka, "la vita lenta: quando arrivi in una grande città, vieni travolto dalla corsa al successo, dalla frenesia, dalla corsa alla superficialità delle cose. Ti trovi a pensare che si stava meglio quando si stava peggio. Ma non ho lasciato niente di ciò che sono, anche grazie alla musica".
    Rocco Hunt è stato tra i primi a portare il napoletano al festival e a sdoganare il dialetto, tanto da portare qualche anno dopo Amadeus a modificare il regolamento, permettendo a Geolier di gareggiare con un brano quasi completamente in dialetto. "Per me è stato un onore - dice ancora - e una rivalsa trionfare con la mia lingua napoletana e con il rapper, che non avevano ottenuto grande giustizia prima di me. Oggi mi sento di dire che non ci sono più pregiudizi su lingua e genere. Il rap della Campania è diventato cool ed è apprezzato in tutta Italia".
    Nella serata selle cover, l'omaggio a Pino Daniele in Yes I Know My Way, insieme a Clementino era quasi scontato. "Insomma..
    Solo per cuori coraggiosi: Pino Daniele nun se tocca. È qualcosa di sacro e per noi, che siamo cresciuto con lui, è stata una grossa responsabilità. Sarebbe stato più facile scegliere altro per evitare paragoni. L'ultima volta che Pino ha cantato Yes I Know My Way al Palapartenope, io e Clementino eravamo sul palco con lui come ospiti. È la chiusura di un cerchio".
    Rapper gentile dalla prima ora, Rocco Hunt è soprattutto un poeta urbano. Come si rapporti alle polemiche sui testi violenti di certi sui colleghi? "Come in tutte le cose, bisogna andare a fondo, a fondo di un genere che va oltre. Non possiamo giudicare estrapolando un testo o censurare - io sono contro ogni forma di censura -. Se andassimo a tradurre Eminem o altri 30 rapper americani ci metteremmo le mani nei capelli. Prima di prendere una singola frase, bisognerebbe immergersi nell'immaginario - ragiona l'artista -. Negli anni '70 il rock parlava di droghe e non penso che tutti i figli degli anni Settanta siano usciti drogati. Da padre, penso che non si possa dare la colpa alle canzoni per l'assenza dell'educazione genitoriale".
    Dopo il festival, Rocco Hunt comincerà a prepararsi per due eventi live speciali: l'11 settembre alla Reggia di Caserta e il 6 ottobre all'Unipol Forum di Milano, che segna il debutto nei Palasport.
   

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