Quindici anni fa è partito dalla
periferia di Salerno per conquistare le vette delle classifiche,
"e intorno a me in tanti mi dicevano che non sarei mai stato
nessuno, soprattutto con un genere in quel momento poco diffuso
come il rap. Amici e familiari che mi volevano bene e si
preoccupavano preferivano per me un terreno già battuto, una
professione normale. In pochi ci credevano. E oggi c'è
l'orgoglio di dire che c'ho creduto, che ce l'ho fatta partendo
da zero. Ora raccolgo i frutti del duro lavoro". Rocco Hunt, 30
anni il prossimo novembre, torna per la terza volta al festival
di Sanremo con il brano Mille vote ancora, dopo aver trionfato
nel 2014 tra i Giovani con il brano Nu juorno buono - prima
vittoria di un brano hip hop e di un brano in lingua napoletana
nella storia delle Nuove Proposte, aprendo così la strada alle
nuove generazione - e partecipato nel 2016 nella sezione
Campioni con Wake Up. E torna per raccontare la sua storia, che
è anche quella di tanti altri giovani che hanno lasciato la
propria terra per raggiungere obiettivi e sogni.
"Torno dopo 9 anni, cresciuto, con qualche anno di esperienza
nel campo musicale e in quello personale, torno genitore e con
visione della vita più matura - racconta all'ANSA Rocco, che da
tempo si è trasferito a Milano e all'attivo ha oltre 40 dischi
di platino collezionati tra Italia, Spagna e Francia dove ha
raggiunto anche un disco di Diamante -. È la nostalgia di un
ragazzo che rimpiange gli amici, il quartiere, quello che ha
lasciato, ma con la positività nel ritornello, che mette la
speranza al centro di tutto. E torno al festival per cercare di
far capire chi è Rocco Hunt oggi".
"Me manca assaje mamma mia, 'a casa mia dove ancora si muore
per niente a vent'anni. 'Sti figlie anna capi', 'sta guerra adda
ferni'", rappa nel brano, consapevole che la nostalgia non
cancella "anche le cose che odiavo, le stesse che mi hanno fatto
andar via". "Ho lasciato pregi e difetti, Salerno mi ha dato
tanta ambizione e tanta fame, ma restituisce poche opportunità
soprattutto ai giovani. Ho sempre usato il megafono di Sanremo
per trasmettere dei messaggi che potessero andare oltre il
testo. Se in pochi parliamo di sociale al festival, la colpa non
è di nessuno: ognuno parla di ciò che sente".
Tra le cose che rimpiange della sua terra, oltre all'odore
del caffè dalla moka, "la vita lenta: quando arrivi in una
grande città, vieni travolto dalla corsa al successo, dalla
frenesia, dalla corsa alla superficialità delle cose. Ti trovi a
pensare che si stava meglio quando si stava peggio. Ma non ho
lasciato niente di ciò che sono, anche grazie alla musica".
Rocco Hunt è stato tra i primi a portare il napoletano al
festival e a sdoganare il dialetto, tanto da portare qualche
anno dopo Amadeus a modificare il regolamento, permettendo a
Geolier di gareggiare con un brano quasi completamente in
dialetto. "Per me è stato un onore - dice ancora - e una rivalsa
trionfare con la mia lingua napoletana e con il rapper, che non
avevano ottenuto grande giustizia prima di me. Oggi mi sento di
dire che non ci sono più pregiudizi su lingua e genere. Il rap
della Campania è diventato cool ed è apprezzato in tutta
Italia".
Nella serata selle cover, l'omaggio a Pino Daniele in Yes I
Know My Way, insieme a Clementino era quasi scontato. "Insomma..
Solo per cuori coraggiosi: Pino Daniele nun se tocca. È qualcosa
di sacro e per noi, che siamo cresciuto con lui, è stata una
grossa responsabilità. Sarebbe stato più facile scegliere altro
per evitare paragoni. L'ultima volta che Pino ha cantato Yes I
Know My Way al Palapartenope, io e Clementino eravamo sul palco
con lui come ospiti. È la chiusura di un cerchio".
Rapper gentile dalla prima ora, Rocco Hunt è soprattutto un
poeta urbano. Come si rapporti alle polemiche sui testi violenti
di certi sui colleghi? "Come in tutte le cose, bisogna andare a
fondo, a fondo di un genere che va oltre. Non possiamo giudicare
estrapolando un testo o censurare - io sono contro ogni forma di
censura -. Se andassimo a tradurre Eminem o altri 30 rapper
americani ci metteremmo le mani nei capelli. Prima di prendere
una singola frase, bisognerebbe immergersi nell'immaginario -
ragiona l'artista -. Negli anni '70 il rock parlava di droghe e
non penso che tutti i figli degli anni Settanta siano usciti
drogati. Da padre, penso che non si possa dare la colpa alle
canzoni per l'assenza dell'educazione genitoriale".
Dopo il festival, Rocco Hunt comincerà a prepararsi per due
eventi live speciali: l'11 settembre alla Reggia di Caserta e il
6 ottobre all'Unipol Forum di Milano, che segna il debutto nei
Palasport.
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