A Napoli nel 2021 si sono
verificate oltre 60 aggressioni a personale sanitario e
sociosanitario e il 70 per cento delle vittime è costituito da
infermieri. E' il dato emerso in occasione dell'incontro
promosso dalla Scuola di Medicina e Chirurgia dell'Università
Federico II di Napoli in collaborazione con il Dipartimento di
Sanità pubblica dell'Ateneo e l'Osservatorio Salute Lavoro per
la Giornata nazionale per l'educazione e la prevenzione contro
la violenza nei confronti degli operatori sanitari e
sociosanitari. La Giornata nazionale si celebra ogni anno il 12
marzo. A livello nazionale, secondo i dati Inail, le violenze
contro i sanitari sono più di 5 mila l'anno. Dati che tuttavia
rappresentano soltanto il fenomeno emerso e dunque si stima che
i numeri reali siano superiori. ''E' molto importante questo
momento di riflessione rispetto al rischio di aggressioni e di
violenza nei confronti degli operatori sanitari - ha detto Maria
Triassi, presidente della Scuola di Medicina della Federico II -
si tratta di un fenomeno che era già presente prima della
pandemia ma che in questi due anni è aumentato. Occorre pertanto
incentivare la formazione e sensibilizzare la cittadinanza, a
partire dai giovani, facendo capire che perpetrare aggressioni e
atti violenti contro operatori sanitari non solo è grave,
inconcepibile e da condannare ma ci pone davanti a un paradosso
perché si pratica violenza contro coloro che sono i responsabili
della nostra salute. Un Paese civile - ha aggiunto Triassi - non
può accettare che ciò accada''. Uno studio condotto da sette
Atenei pubblici italiani registra che il 75 per cento degli
operatori sanitari vittime di aggressioni all'interno dei
presidi ospedalieri sono donne e che la maggior parte delle
vittime non denuncia perché pensa che ciò faccia parte del
lavoro. ''Chiediamo il rispetto per gli operatori - ha
affermato Gaetano D'Onofrio, direttore Asl Napoli 3 Sud - che a
tutti i livelli offrono la loro professionalità per dare
risposte di salute. Aggredire, anche solo intimidire, i sanitari
significa avere meno assistenza perché si va a incidere anche
sull'aspetto psicologico degli operatori, vuole dire determinare
una difficoltà anche per gli altri pazienti, ma soprattutto vuol
dire far venire meno quel tessuto sociale che è alla base di
ogni consesso civile''. Il fenomeno è ''largamente
sottostimato'' anche per la mancanza di metodologie applicative
di rilevazione, monitoraggio e denuncia. E per sopperire a
questa lacuna, il Dipartimento di Sanità pubblica dell'Ateneo
federiciano ha istituito il Centro regionale di Ergonomia in
Sanità (CRES), gestito dall'Osservatorio Salute Lavoro, per la
promozione della salute occupazionale. Il Centro ha specifiche
competenze in materia di salute, sicurezza e prevenzione secondo
modelli di ergonomia, validati per la gestione del rischio
occupazionale e del rischio clinico. Durante la giornata esperti
e direttori sanitari di Asl e Aziende ospedaliere si sono
confrontati sulle strategie di prevenzione previste dalla legge
14 agosto 2020, n. 113, relativa a 'Disposizioni in materia di
sicurezza per gli esercenti le professioni sanitarie e
socio-sanitarie nell'esercizio delle loro funzioni', attraverso
l'identificazione di misure idonee a ridurre i fattori di
rischio negli ambienti più esposti; sulla promozione della
diffusione delle buone prassi in materia di sicurezza, la
promozione dello svolgimento di corsi di formazione per il
personale medico e sanitario finalizzati alla prevenzione e alla
gestione delle situazioni di conflitto e a migliorare la qualità
della comunicazione con gli utenti. ''Obiettivo del seminario -
ha concluso Annalisa Lama, Osservatorio Salute Lavoro - è
divulgare il fenomeno, identificare strategie di contenimento e
di prevenzione per provare a far diminuire sensibilmente la
problematica''.
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