BRUXELLES - Alla vigilia della missione di Giorgia Meloni negli Usa, a Bruxelles restano aggrappati innanzitutto a due punti fermi: l'Europa continua ad essere fermamente convinta in un'intesa con gli Stati Uniti e, contemporaneamente, pienamente consapevole che quest'intesa potrebbe non esserci. In mezzo c'è una trattativa difficile, finora dai contorni poco chiari, ancorata - questo, il timore della Commissione - più agli umori di un sol uomo, Donald Trump, che a una linea negoziale omogenea. "Faremo tutto il possibile per giungere a un esito positivo" nei negoziati con gli Usa sui dazi, "ma in parallelo dobbiamo prepararci allo scenario potenziale di un mancato accordo", ha spiegato il commissario Ue alla Giustizia Michael McGrath aggiornando la linea di Palazzo Berlaymont.
In questo quadro ci sono diversi aspetti sul tavolo di Ursula von der Leyen. Il primo è legato al bilaterale tra Meloni e Trump e alle eventuali richieste che il secondo recapiterà alla prima. Alcune non possono che riguardare tutta l'Unione. Una, su tutti: l'impegno dell'Europa a tagliare ulteriormente i rapporti commerciali con Pechino. Una simile richiesta da parte dell'amministrazione Trump andrebbe a complicare non poco il faticoso tentativo di Ue e Cina di riaprire un canale commerciale che, da diversi mesi, è ormai ai minimi termini. I segnali, da entrambe le parti, sono stati tangibili. E il vertice tra Ue e Cina, previsto in Oriente nella seconda di metà di luglio è visto come una tappa cruciale per il futuro delle relazioni sino-europee, non solo dal punto di vista economico.
In secondo luogo, sui rapporti con la Cina l'Ue rischia di spaccarsi. Le sensibilità sono diverse, e basta dare uno sguardo alle dichiarazioni pubbliche dei singoli governi. Paesi come l'Italia restano prudenti su un'apertura al Dragone, piazzandosi sulla sponda opposta rispetto a capitali come Madrid o Berlino. Ma c'è anche chi, come la Lituania, si è detto pronto a ristabilire rapporti diplomatici che, dal 2021, sono azzerati dopo il via libera di Vilnius all'apertura di una Rappresentanza taiwanese nel Paese baltico. Sui dossier meramente commerciali l'Ue resta pronta a venire incontro alle richieste americane.
"Noi stiamo trattando per evitare una guerra economica, il commercio fra Ue e Usa produce il 40% della prestazione economica globale", ha sottolineato, in un'intervista a Spiegel, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. E l'offerta principe resta la stessa: zero dazi sui beni industriali e sulle auto.
Il punto, per Bruxelles, resta la scarsa chiarezza della controparte. Prima di Meloni, a volare a Washington è stato il ministro delle Finanze spagnolo, Carlos Cuerpo. Il bilaterale con il segretario al Tesoro Scott K.H. Bessent, non è apparso essere andato bene. Gli Usa, nella nota al termine dell'incontro, hanno parlato di colloquio "franco" e hanno sottolineato le loro richieste a Madrid: più spese nella difesa nel contesto della Nato e stop alla tassa sui servizi digitali imposta da Paesi come la Spagna.
Diktat di fronte ai quali difficilmente i 27 sceglieranno di abbassare la testa. Anzi, di fronte all'America di Trump l'Ue ha l'urgenza di presentarsi come nuovo "baricentro di un commercio aperto"; per dirla come l'ex commissario Paolo Gentiloni. E perfino la prudente von der Leyen, in un'intervista a Zeit, pur senza mai esplicitamente attaccare Trump martedì ammetteva come la relazione con gli Usa sia "complicata". E la conferma arriva da un dato: i contatti tra il presidente americano e la numero uno della Commissione, finora, sono stati pari a zero.
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