Un chip low-tech su tre utilizzato in Europa arriva dalla Cina. E Bruxelles è ancora lontana dal suo sogno high-tech: conquistare il 20% della produzione globale di semiconduttori entro il 2030, partendo dal modesto 10%. E' il monito lanciato dalla Corte dei Conti Ue, che nel suo ultimo report mette in guardia dall'eccessiva dipendenza da Pechino e auspica un cambio di passo.
Nonostante la presenza nel continente di colossi come Infineon, Nxp e STMicroelectronics, l'industria europea non riesce a tenere il passo. Nel 2024, il deficit commerciale con la Cina sui chip ha toccato i 9,8 miliardi di euro e il divario anche con le altre potenze rischia di "aumentare in futuro", soprattutto per la crescente domanda legata alla transizione verde. I revisori dei conti Ue hanno definito "un'aspirazione" il traguardo fissato da Bruxelles: secondo stime recenti, l'Ue arriverà solo all'11,7% nel 2030.
"Sappiamo già dei rischi che derivano dall'importazione da Paesi con i quali abbiamo un rapporto incerto. Ma forse non possiamo nemmeno contare sui nostri alleati tradizionali per la fornitura di chip", ha avvertito Annemie Turtelboom, membro della Corte dei conti, evidenziando che le tensioni geopolitiche con gli Stati Uniti hanno reso il nodo della riduzione delle dipendenze ancora più urgente rispetto a un anno fa. A marzo, la vicepresidente esecutiva della Commissione europea per la Sovranità tecnologica, Henna Virkkunen, ha annunciato che Bruxelles sta preparando un nuovo piano - il Chips Act 2 - per potenziare la produzione di semiconduttori made in Europe.
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