Dopo una pausa di 10 giorni, è
ricominciato con una maxi sforbiciata ai testimoni delle difese
il processo per il crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018, 43
vittime). Alcuni difensori dei 58 imputati hanno annunciato di
voler rinunciare a un centinaio di testi rispetto ai circa 370
indicati nelle liste iniziali. Un taglio che imprime una
accelerata al processo con la sentenza che a questo punto
potrebbe arrivare entro un anno. Decisivo sarà comunque l'esame
dei consulenti di parte e dei periti che si scontreranno sulle
cause del crollo.
Quella iniziata oggi si annuncia comunque come una fase
"problematica" del processo con il rischio di udienze "a vuoto"
per le impossibilità a comparire dei testimoni o i problemi di
notifiche per le mancate ricezioni delle raccomandate. Come è
successo con l'udienza di oggi: delle cinque persone che
avrebbero dovuto parlare, se ne sono presentate soltanto due. Il
primo a essere sentito è stato Mario Campedelli, assunto in Spea
nel 1968 e negli anni '70 in servizio presso gli uffici
direzione lavori e manutenzione straordinaria. Il geometra ha
spiegato che alla fine degli anni '70 le opere venivano
controllate tramite radiografie e con "la macchina del vuoto":
con questa seconda attrezzatura si "aspirava" l'aria
dall'interno della zona individuata che poi veniva iniettata di
resina. "Se la situazione era più critica - ha spiegato
Campedelli - si mettevano cavi esterni". Dopo di lui è stato
sentito Andrea Vecchi, responsabile dell'ufficio ponti e
strutture di Rfi che ha parlato delle modalità di ispezione
sulle opere. "Abbiamo visite generali, ogni sei anni, fatte a
distanza di braccio e con macchinari appositi. Poi ci sono
quelle principali, fatte ogni tre anni, che consiste in una
ispezione approfondita e analisi dei difetti. Infine le visite
ordinare, con cadenza annuale, che possono essere fatte anche
con torce e binocoli".
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