"Per quanto riguarda l'omicidio Boiocchi, non c'entra niente Antonio Bellocco e la famiglia Bellocco, siamo stati noi a organizzare tutto. Praticamente quando è uscito Vittorio dalla carcerazione ...". Inizia così uno dei verbali di Andrea Beretta, ormai ex leader della curva Nord interista, che lo scorso novembre, dopo essere finito in carcere per aver ucciso Antonio Bellocco, rampollo dell'omonima famiglia di 'ndrangheta e anche lui nel direttivo ultras, comincia a collaborare, ricostruendo a tappe business, ruoli e violenze, ma anche svelando dettagli e responsabilità di quell'uccisione, che era irrisolta dal 2022.
Vittorio Boiocchi, storico capo ultrà nerazzurro con un passato di anni e anni in carcere, venne ammazzato il 29 ottobre di tre anni fa davanti a casa, a Milano, a colpi di pistola da due killer in moto. Oggi la svolta, partita dalle parole di Beretta ma costruita anche riscontro dopo riscontro nelle indagini della Squadra Mobile, diretta da Alfonso Iadevaia, coordinate dai pm Paolo Storari e Sara Ombra. Un'ordinanza, firmata dalla gip Daniela Cardamone, ha raggiunto in carcere Beretta, ma anche Marco Ferdico, pure lui nel direttivo della Nord, il padre Gianfranco, e l'ultrà Cristian Ferrario, tutti già coinvolti nel maxi blitz sulle curve di settembre. Poi, sono stati arrestati Pietro Andrea Simoncini, legato alla 'ndrangheta, e Daniel D'Alessandro (preso in Bulgaria), questi ultimi due presunti esecutori materiali.
Un omicidio, come spiega la giudice, con "modalità mafiose", tanto che è stata contestata l'aggravante, e inserito nel contesto di una guerra sulla gestione degli affari legati al mondo delle curve di San Siro. A Beretta, successore di Boiocchi, pesava il ruolo che quest'ultimo voleva mantenere, una volta tornato libero. Lo stesso Beretta che il 4 settembre scorso fece fuori a coltellate Bellocco, il quale, a suo dire, voleva sempre una maggior "fetta" degli incassi e aveva pronto un piano per ucciderlo.
Come emerge dai verbali, Beretta ha descritto "l'apice della discussione avuta con Boiocchi" sulla "gestione e la spartizione dei proventi degli affari" della Nord e "del negozio", il merchandising in particolare. Affari e contrasti che, poi, hanno trovato riscontro, scrive il gip, anche nei messaggi analizzati nelle indagini. Beretta ha così confessato di essere "il mandante", mentre l'esecuzione "sarebbe stata demandata", al prezzo di 50mila euro, a Marco Ferdico e al padre Gianfranco.
Cinquantamila euro "per eliminare quello che era stato fino a quel momento il leader della Nord, per prendere il suo posto e dividere i profitti", ha spiegato l'aggiunta della Dda Alessandra Dolci.
Sarebbe stato un altro ultrà interista Mauro Nepi (indagato), anche lui già finito in carcere nel maxi blitz sulle curve, a suggerire a Beretta di rivolgersi ai Ferdico. E questi ultimi per il "progetto" si sarebbero rivolti, come veri esecutori materiali, a D'Alessandro (riconosciuto anche da un tatuaggio sotto l'occhio a forma di lacrima, "simbolo" dell'omicidio commesso) e Simoncini, già coinvolto in una faida di 'ndrangheta e salito a Milano appositamente. Ferrario, invece, si sarebbe intestato la moto usata per l'agguato.
"Grazie alla Polizia di Stato sono stati ricostruiti e accertati tutti i fatti di sangue commessi nell'ambito delle curve", ha spiegato il procuratore Marcello Viola in una conferenza stampa. "È un fenomeno che aveva colpito la città di Milano con una ferita profonda - ha affermato il questore Bruno Megale -. La risposta data in termini giudiziari e amministrativi, però, va verso una sorta di pulizia di questi fenomeni criminali all'interno della curva".
Riproduzione riservata © Copyright ANSA