Ripartirà con un dibattimento il processo con al centro i presunti falsi di Gino De Dominicis. Il Tribunale di Pesaro, dal prossimo autunno, affronterà il capitolo principale della delicata vicenda che si trascina nelle aule di giustizia dal 2012 e che riguarda un rilevantissimo numero di opere dell'artista anconetano del Secondo Dopoguerra, noto per aver ripudiato qualsiasi forma di etichetta e omologazione e per il suo eclettismo.
Nei giorni scorsi la Corte d'Appello di Ancona ha riaperto il caso: ha disposto il rinvio a giudizio per Marta Massaioli, l'ex assistente e compagna di De Dominicis e ora sessantenne, e di altre persone accogliendo l'appello della Procura contro il provvedimento con cui un gup pesarese lo scorso giugno ha disposto l'assoluzione per l'accusa di associazione per delinquere e contro il non doversi procedere per prescrizione dei reati di ricettazione e truffa. La prima udienza è fissata per il 9 ottobre 2025 nella città marchigiana dove il procedimento, aperto originariamente a Roma, è 'migrato' per competenza territoriale.
I giudici di secondo grado hanno sposato la linea del pubblico ministero ritenendo la sussistenza del reato associativo e accogliendo la proposta di contestare una recidiva di cui risponde la ex compagna dell'artista - un tentato furto di 5 confezioni di crema sottratte nel 2001 nel reparto profumeria di un supermercato - in modo da cancellare la prescrizione di ricettazione e truffa. Quindi hanno disposto il processo nei confronti della donna, tra le persone arrestate nel 2018, e di 10 coimputati. In aula, in pratica, si dovrà appurare se le opere del maestro scomparso nel 1998 e lasciate all'allora fidanzata e assistente, almeno un centinaio, siano dei falsi. Se così fosse, per altro, si porrebbe un problema non da poco perché, come spiega l'avvocato Matteo Mangia, difensore di Massaioli, "in ballo c'è il destino di De Dominicis, con il valore artistico ed economico dei suoi lavori". Lavori che, qualora siano dichiarati delle copie, saranno distrutti, "mandando al macero anche uno dei protagonisti dell'arte contemporanea del secolo scorso".
La vicenda, su cui nel settembre 2023 si è espresso anche il Tribunale di Bolzano assolvendo con la formula "perché il fatto non sussiste la sessantenne imputata per contraffazione di alcune opere d'arte in una tranche delle indagini, affonda le radici in una sorta di 'guerra' legata alla tutela dell'opera e della memoria dell'autore scomparso nel 1998. Guerra cominciata nel 2012, che vede contrapposti da un lato l'Archivio De Dominicis, che fa capo alla cugina ed erede dell'artista Paola De Dominicis e all'avvocato collezionista Italo Tomassoni; dall'altro la Fondazione Archivio Gino De Dominicis, creata da Massaioli e guidata, come vice presidente, da Vittorio Sgarbi, molto amico dell'artista e rimasto anche impigliato nelle maglie della giustizia ma poi prosciolto.
Con i primi che, avanzando la autenticità solo delle opere in possesso di Tomassoni, hanno sporto denunce facendo partire le indagini penali con accuse che al momento non hanno trovato conferma in alcuna sentenza. E con gli altri che si sono opposti replicando che i lavori raccolti nella collezione Koelliker di Milano (sono una settantina, molti dei quali autenticati da Sgarbi) e lasciati da De Dominicis alla ex compagna sono originali.
Dopo l'estate si ritorna dunque davanti ai giudici per cercare di mettere un primo punto a una 'battaglia' che non si ferma. E questo per via della mossa della Fondazione che, come si legge in una memoria del difensore della signora Massaioli, "ha impropriamente fatto uso dell'Autorità Giudiziaria per accreditarsi come unico ente in grado di riconoscere l'autenticità" dei lavori del Maestro, presentando denunce in cui ha tacciato "di falsità tutte le opere che fossero riconosciute autentiche" dai rivali e "non inserite nel catalogo ragionato curato dall'avvocato Tomassoni". In ultima analisi, come si legge nella sentenza dei giudici di Bolzano, per rivendicare il "monopolio delle autenticazioni esprimendo giudizi basati su valutazioni del tutto generiche e confuse" si è riusciti a trasferire "in sede giudiziale (...) uno scontro squisitamente economico e personalistico" con la conseguenza di gettare ombra su uno dei protagonisti del mondo culturale italiano della seconda metà del Novecento.
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