Non basta essere presenti sul luogo del delitto per essere colpevoli di omicidio volontario. Sulla base di questo principio la Cassazione ha riaperto il caso di Shpetim Frasheri, l'albanese di 39 anni ucciso da un colpo di pistola a Torino il 22 ottobre 2017 nel corso di una vera e propria 'spedizione punitiva' cui presero parte non meno di sei persone.
I supremi giudici hanno annullato con rinvio la condanna a 23 anni di carcere per tre imputati (anche loro di origine albanese) e ora la Corte d'appello del capoluogo piemontese dovrà indicare con precisione quali sono gli indizi che dimostrino "al di là di ogni ragionevole dubbio" che sapevano di avere partecipato a un'iniziativa che aveva come "esito considerato, previsto e voluto" la morte dell'antagonista.
Quindi si stabilirà se sono responsabili di "concorso" o di "reato diverso da quello voluto" e se hanno diritto a qualche attenuante: la differenza sarà l'entità della pena da scontare.
A organizzare la "spedizione punitiva" fu quarto imputato, già giudicato separatamente, che poco prima aveva avuto un diverbio con la vittima davanti al bar Chic in zona Pozzo Strada. Frasheri lo aveva accusato di "dare fastidio" a una prostituta. Poco dopo l'imputato tornò con quello che gli stessi giudici hanno definito un 'team'. Frasheri fu raggiunto da un colpo di pistola e picchiato con un manganello; prima di morire disse ai poliziotti "sono stati gli albanesi".
I ricorsi in Cassazione sono stati presentati dagli avvocati Cosimo Palumbo, Enrico Calabrese, Severino Marcello, Ilenja Mehilli, Dario Vennettiello.
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