"Da anni esistono su internet gruppi più o meno nascosti dove ragazze e ragazzi con svariati disagi si sostengono a vicenda, ma se le fragilità possono incontrarsi tirando fuori un mutuo aiuto, spesso il rischio è che ci sia un reciproco rafforzamento nei comportamenti patologici o pericolosi". Alla luce della vicenda di Andrea Prospero - il 19enne spinto al suicidio durante una chat - la psicologa della Polizia e responsabile dell'Unità di analisi del crimine informatico, Cristina Bonucchi, getta luce sul fenomeno del cyberbullismo e delle sue estreme conseguenze.
"Fare gruppo, anche tra gli autolesionisti, è un tratto tipico degli adolescenti, che tendono a rispecchiarsi in qualcosa di simile a loro. Il ragionamento - spiega Bonucchi - in questi casi è: 'nella realtà non posso manifestare le mie debolezze'. A volte può essere funzionale non sentirsi soli in luoghi virtuali condividendo il proprio disagio, ma altre volte questo è un fattore che lavora contro la guarigione mentre la solidarietà può diventare un elemento che rischia di far precipitare le cose. Come nei disturbi alimentari, ad esempio, per continuare a digiunare o perseguire un ideale distorto di bellezza. In questi casi il confine tra lecito e illecito è labile, così come tra chi è responsabile e chi viene condotto a fare qualcosa di grave per sè stesso. Non a caso - specifica l'esperta - ci vengono segnalati gruppi che usano circuiti non semplicissimi per l'identificazione".
In generale, si rileva un leggero aumento delle denunce di reati ricondotti ai fenomeni di cyberbullismo tra gli adolescenti e in quest'ultimo anno il fenomeno ha riguardato la fascia di ragazzi più grandi. "Anche il linguaggio degli adolescenti è diventato molto forte, come in una sorta di polarizzazione, tipica di questa età: o è tutto bianco oppure è tutto nero. Ma - riflette Bonucchi - le parole forti possono includere anche frasi che inconsapevolmente sono istigazioni al suicidio. Dunque sul web non c'è una reale percezione di quanto le parole impattino sugli altri, del resto il mezzo di internet non facilita l'empatia".
La 'fomo' (acronimo di 'fear of missing out', ovvero la paura e ansia sociale di essere esclusi da esperienze ed eventi - ndr), il concetto di essere dentro o fuori oppure perdere di follower, sono fenomeni tipici delle piattaforme in cui si relazionano i giovani. "Ma - avverte la psicologa - sarebbe troppo semplicistico demonizzare i social, che sono un luogo particolarmente interessante per i ragazzi, dove trovano un modo di esprimersi e fare degli esperimenti per capire chi sono: è un palcoscenico a loro disposizione da gestire in differita, attraverso cui possono controllare qualsiasi cosa, dai filtri delle foto alla resa estetica fino a ciò che possono scrivere in un post. Ciò che i genitori possono fare è fornire regole sui tempi e su ciò che è lecito visitare nel mondo virtuale, perché spesso non si è consapevoli di trovarsi davanti a migliaia di persone. E anche il ragazzino più intelligente e sveglio potrebbe non avere la forza emotiva per sostenere questa relazione col mondo intero".
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