Con un impianto di rilevazione dei
fumi funzionante, che invece era guasto da quasi tre anni e non
era mai stato sostituito, la tragedia si sarebbe potuta evitare
e anzi con un sistema di spegnimento delle fiamme automatico
probabilmente avrebbero potuto salvarsi tutte e sei le vittime,
anche l'anziana che, fumando sul letto, scatenò il
maxi-incendio.
Sono queste, in sintesi, le conclusioni della consulenza
dell'ingegnere Davide Luraschi, docente del Politecnico ed
esperto nella sicurezza antincendi, depositata nell'inchiesta
della Procura di Milano sul rogo nella Rsa 'Casa dei coniugi'
dove, nella notte tra il 6 e il 7 luglio del 2023, morirono sei
anziani.
La presenza necessaria di un impianto di rilevazione dei
fumi, in sostanza, stando alla ricostruzione dell'esperto,
avrebbe evitato la morte di almeno cinque di loro, tranne della
donna che, fumando mentre era in ossigenoterapia, fece partire
l'incendio. Fu la cenere della sigaretta, infatti, stando ad un
esperimento giudiziale eseguito nell'ambito dell'accertamento, a
scatenare il rogo a contatto con l'ossigeno della mascherina
usata dalla donna e tenuta abbassata.
Se ci fosse stato, però, anche un impianto di spegnimento
automatico, cosiddetto 'water mist' a doccia, avrebbe potuto
salvarsi anche quell'anziana. L'altra ospite della stanza, dove
partì l'incendio, aveva tentato di dare l'allarme e di chiedere
aiuto.
Nell'inchiesta, affidata ai pm del pool guidato dall'aggiunta
Tiziana Siciliano, figurano sei indagati, tra cui i vertici
della cooperativa Proges, che gestiva la struttura di proprietà
del Comune di Milano, e poi Claudia Zerletti, direttrice della
struttura di via dei Cinquecento, Michele Petrelli, in qualità
di direttore del Welfare di Palazzo Marino e Guido Gandino, in
qualità di responsabile dell'area residenzialità, anziani e
persone con disabilità del Comune.
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