Veniva descritto come una persona
totalmente equilibrata, senza scompensi psichici, e che in
ambito lavorativo, nella sua attività all'hotel Berna, si era
costruito anche delle relazioni affettive, Emanuele De Maria, il
detenuto ammesso al lavoro esterno e che in 48 ore, lo scorso
fine settimana, ha ucciso una collega barista, ha tentato di
uccidere un altro dipendente e si è tolto la vita gettandosi dal
Duomo di Milano.
Lo si apprende in merito a due relazioni del carcere milanese
di Bollate. Ai magistrati milanesi, intanto, è arrivata la
richiesta del ministro Nordio, che ha avviato attività
ispettiva, di atti e di una relazione sul caso.
Nelle carte ci sono due relazioni dell'équipe di psicologi
ed educatori, firmate dalla direzione del carcere milanese di
Bollate, una del 2023 e l'altra del 2024, e il provvedimento di
poche righe del giudice Giulia Turri che, sulla base di quelle
relazioni, ha dato l'ok. Nella prima relazione il carcere ha
segnalato che De Maria, condannato a 14 anni e 3 mesi in
abbreviato per l'omicidio, senza aggravanti, di una donna, era
una persona collaborativa, che aveva dato segni di resipiscenza,
aveva iniziato a studiare e aveva dato anche due esami
universitari. Anche nella seconda relazione, incentrata sul suo
percorso di lavoro nell'albergo e seguita alla richiesta di un
permesso premio ulteriore, sono stati messi nero su bianco tutti
aspetti positivi, nessuno negativo.
E' stato indicato che non aveva avuto problemi coi colleghi e
che anzi aveva instaurato relazioni affettive. Sempre nelle
relazioni c'erano la storia della sua famiglia in Olanda, il suo
rapporto col fratello, il periodo di latitanza prima
dell'arresto in Germania e il fatto che avesse riconosciuto i
suoi errori. Nella seconda relazione erano segnalati anche gli
elogi del datore di lavoro per la sua attività di receptionist.
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