'Architettura instabile' è il titolo della mostra al Maxxi curata e progettata da Elizabeth Diller e dal suo studio Diller Scofidio + Renfro (DS+R) ma l'architetta americana, docente a Princeton, più che di 'instabilità' preferisce parlare di 'adattabilità e flessibilità' delle opere architettoniche che dagli anni '30 ad oggi indagano il tema del dinamismo nel costruire. Autrice di progetti innovativi come la High line di Manhattan, il campus del Lincoln Center e la ristrutturazione del MoMA di New York. Diller spiega così in un'intervista all'ANSA il suo concetto di architettura, un'arte che innanzitutto ha in sé qualcosa di "autonomo e indipendente.
Di solito - dice - pensiamo all'architettura come qualcosa di stabile, del resto la stabilità è il primo dei principi vitruviani ma io non credo che sia così. La resilienza non è stabilità, ovvero lo è ma in altra forma: l'architettura deve sapersi adattare, deve potersi alterare e modificarsi in base a quelle che sono le necessità, che puo' voler dire essere in grado di resistere al vento o essere in grado di spostarsi e togliersi di mezzo. Il che è diverso rispetto a una architettura saldamente ancorata al terreno". Tutti elementi presenti nelle opere e bozzetti della mostra in corso al Museo romano fino al 16 marzo in cui vengono esposti una serie di progetti architettonici definiti dalla loro resistenza alla 'rigidità' e alla stasi dell'architettura. Tra le opere in mostra anche i disegni e un modello di The Shed di DS+R, grande spazio culturale che può trasformarsi da auditorium coperto a piazza all'aperto (2019, New York).
L'architettura deve essere 'instabile' o 'restless', proprio come si definisce una "persona che non sa stare ferma, una persona che non fa altro che pensare ma in modo creativo, un termine che io utilizzo in modo positivo" proprio perché "è qualcosa di vivo, non è un oggetto statico ma un'emozione, qualcosa - spiega ancora Diller - che si rinnova continuamente" e che rinnova lo spazio urbano come ha fatto a New York il parco lineare della High line. "Alla sua base c'era una idea abbastanza innocente: prendere questo pezzo di infrastruttura urbana che doveva essere distrutto e pensare a un modo perché potesse sopravvivere. È stato grazie a due giovani attivisti - continua l'architetta - che siamo riusciti a trasformarlo in qualcos'altro; poi abbiamo vinto un concorso e questa attività di agire nella sfera pubblica e fare in modo che le persone siano consapevoli di quale sono le diverse possibilità che una struttura puo' ricoprire lo ritengo fondamentale". Come lo è stato "convincere la città che quella struttura industriale potesse essere sfruttata diversamente. Bisogna essere intelligenti nel momento in cui si parla di tematiche di questo tipo, la città è interessata alla crescita economica, quindi bisogna mostrare anche il valore connesso a una simile trasformazione". La High line del resto "ha permesso alla zona di prosperare".
In Italia le città sono custodi di tanta storia e hanno una imponente eredità culturale che "ovviamente va preservata" ma bisogna farlo in modo da evitare il rischio paralisi, afferma ancora Diller, per cui bisogna portare "nuova vita" e non limitarsi a preservare 'città museo'. "Sappiamo che la popolazione cresce e ci sono sempre più persone che arriveranno e quindi dobbiamo adattarci a questa crescita. Pensiamo a Roma: deve necessariamente crescere ma verso l'esterno. Quali sono quindi le modalità in cui si può espandere? C'è bisogno di sensibilità nei confronti di un organismo come la città che dev'essere intelligente e in grado di rispondere alle esigenze della sua popolazione. La crescita quindi deve essere proporzionale. La città - prosegue - si compone di persone che vi vivono, che lavorano, che giocano, che si dedicano allo svago allo shopping e così via: quindi, nel momento in cui cresce non si possono costruire solo uffici o edifici residenziali, la crescita deve essere proporzionale tra le varie parti che la compongono in modo tale che la città possa continuare a vivere in ogni suo aspetto".
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