Paolo Petroni Se una cosa ci ricorda questa pandemia è che la natura è sempre più forte, più resistente dell'uomo.
Non per nulla molti scrittori (e poi drammaturghi, registi di film e artisti diversi) da sempre hanno raccontato e creato storie esemplari, tra cronaca e metafora, su pestilenze, epidemie e altri cataclismi che cancellano o quasi il genere umano dalla terra.
Allora questi romanzi, queste cronache di day
after, queste supposizioni di arrivo al limite e di salvezza in
extremis, in cui viviamo una qualche consonanza, possono essere
qualcosa che ci aiuta a capire e riflettere su quel che ci sta
accadendo in questo inizio 2020, magari a metabolizzarlo in
qualche modo, così da ripartire, come si dice ora, sapendo
almeno un poco di più chi siamo.
Tra quelli che le storie le raccontano proprio con un fine
di conoscenza e ammonimento c'è sicuramente Jack London (1876
-1916), scrittore americano che prima di arrivare al successo
fece, come racconta in ''Martin Eden'', mille mestieri, amante
del mare e della natura (si ricordano certamente ''Il richiamo
della foresta'', ''zanna bianca'' e ''Il lupo dei mari'') era
molto critico verso la società capitalista e materialista
americana, tanto da scrivere nel 1912 un romanzo apocalittico
che racconta come nel 2013 l'America fosse tornata praticamente
all'età della pietra dopo essere stata spopolata quasi
integralmente in una decina di giorni da una ''Peste purpurea''
(o La peste scarlatta) (Adelphi, pp. 94 - 8,00 euro - Traduzione
di Ottavio Fatica è l'edizione più recente). Questa colpì il
paese che era dominato dal Consiglio dei Magnati dell'Industria,
composto dalle sette famiglie più ricche e importanti del
pianeta, che avevano ridotto gli uomini ad automi passivi in
nome della produzione, del profitto, e aveano spinto la natura a
ribellarsi allo sfruttamento bieco della natura. E non è
possibile non avvertire in questo echi pur esasperati della
nostra odierna realtà socio economica, tra poteri finanziari e
surriscaldamento del pianeta.
Era l'epoca in cui ''il cielo era solcato da apparecchi,
dirigibili e altre macchine volanti'' e San Francisco, nella
proiezione di London, aveva quattro milioni di abitanti, mentre
l'intera popolazione mondiale contava otto miliardi (come
oggi!). Il racconto, scritto con bel pathos coinvolgente anche
se con connotazioni primo Novecento, è però ambientato 60 anni
dopo il disastro, nel 2073 e si apre con un vecchio ottantenne,
James Howard Smith a suo tempo docente e a Berkley, che per
molti anni si era creduto l'unico superstite, contornato da un
gruppo di ragazzini selvaggi, discendenti suoi e dei pochi altri
sopravvissuti, riuniti attorno a un fuoco al termine della
quotidiana ricerca di un po' di cibo, che ha procurato pesci,
granchi e conchiglie. Questi racconta loro, con un linguaggio
che appare loro difficile e non li coinvolge minimamente, come
tutto ebbe inizio decenni prima e come la società si fosse
autodistrutta e l'uomo, con il pretesto del morbo inarrestabile,
si fosse immediatamente affrettato a riportarsi con perversa
frenesia a stadi inimmaginabili di crudeltà e barbarie, anche
per l'impotenza a trovare cure. I virologi che cercavano di
trovare un antidoto per quel morbo morivano come mosche e l'uomo
li ricorda come eroi, allo stesso modo che abbiamo fatto noi con
medici e infermieri che hanno lottato col virus del Covid-19.
L'ex professore a un certo punto riferisce anche di aver
nascosto tutti i volumi rimasti della sua antica biblioteca in
una caverna, nella disperata speranza che uno di loro possa un
giorno imparare a leggere e usarli per ripartire e pian piano
ricostruire una società più giusta e equilibrata. Purtroppo i
ragazzi attorno a lui hanno una lingua dai suoni gutturali che
usano solo per comunicazioni basiche, priva di qualsiasi
complessità lessicale e concettuale. Da studioso lui è quindi
angosciato dalla coscienza di essere l'ultimo essere ''che ha
una lingua e non può usarla, un pensiero e non può ritagliarlo
dal grande oceano del pensiero'' e ''non può neanche più opporlo
a quello altrui'' e davanti a questa realtà pensa che gli uomini
siano drammaticamente condannati a ripetersi e fare sempre gli
stessi errori, crescendo, progredendo e migliorando sino poi
invece a peggiorare e finire per autodistruggersi nuovamente.
Non a caso anche in questi giorni si discute se questa pandemia
riuscirà a cambiarci e magari in meglio o se tutto ripartirà
presto come prima, senza nuovi progetti, come nulla fosse
accaduto.
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