(dell'inviata Mauretta Capuano)
Ci mette difronte alla dissonanza
cognitiva che viviamo rispetto alla guerra in Ucraina lo
scrittore israeliano Etgar Keret atteso nella serata conclusiva
del secondo giorno della Fiera del Libro per ragazzi di Bologna
con la lecture 'Che storie si possono raccontare in tempo di
guerra? "Mi sembra una cosa folle: da un lato c'è l'Ucraina che
urla 'aiutateci', 'mandateci i soldati' 'ci stanno uccidendo'. E
dall'altra parte c'è Biden che dice 'Putin è come Hitler, è un
pazzo'. Però noi non facciamo niente. Non vogliamo entrare nel
conflitto. Quindi ci troviamo davanti a una situazione in cui la
gente in Occidente vuole aiutare l'Ucraina e arriva a fare cose
come annullare un evento in cui c'è la Russia, ma questo è un
ossimoro: se Putin è come Hitler ed è uno psicopatico non
facciamo nulla di utile così" spiega all'ANSA Keret.
"Nel mondo vogliamo dare il nostro appoggio all'Ucraina ed è
anche per questo che sono venuto alla Fiera di Bologna. Di
solito non faccio questo tipo di cose. Metà della popolazione ha
messo sul suo profilo Facebook la bandiera ucraina, ma sappiamo
che questo serve a poco. Se il popolo ucraino potesse scambiare
quello che io dirò nel mio contributo alla Fiera del Libro per
Ragazzi di Bologna per un elmetto o un arnese di guerra credo
che apprezzerebbero" dice con grande ironia.
Keret è venuto a parlare della narrazione in tempo di guerra
anche perché è figlio di genitori che hanno vissuto la Shoah,
"mia madre ha perso tutta la sua famiglia nel ghetto di
Varsavia. Quando vedo i rifugiati dall'Ucraina mi riportano a
quello che mi hanno raccontato i miei genitori. Mio padre aveva
sempre detto che bisognava paragonare la Shoah ad altre
sofferenze, se no era accaduto tutto per nulla e questo è molto
giusto. Per me Putin non è Hitler e l'Ucraina non è paragonabile
all'Olocausto, penso questo a differenza del mio primo ministro,
però mi rifaccio alle storie dei miei genitori e a mio padre
che si rifiutava di considerarsi vittima. Non ci si può fermare
a i nazisti erano malvagi, noi eravamo quelli che avevano
sofferto. Questa è una cosa bidimensionale, mentre bisogna
andare sulla tridimensionalità. Come vediamo le cose adesso è il
risultato di una certa dissonanza, di una oscurità che abbiamo.
Mentre, quello che mi hanno raccontato i miei genitori e come
lo hanno fatto mi ha dato un senso di responsabilità" spiega lo
scrittore israeliano.
E racconta una storia: "mio padre si è nascosto dai nazisti in
un buco sottoterra per 600 giorni ma ogni giorno si dava un
compito, crearsi un universo parallelo nel quale i nazisti
c'erano ma erano contro la gente con i capelli rossi e la storia
da inventare era come trovare il modo di salvare quelli con i
capelli rossi. E un'altra era che i nazisti cercavano gli ebrei
ma quando li trovavano gli davano delle caramelle. Il punto è
che se immaginiamo qualcosa quella cosa diventa possibile. La
possibilità può far parte della realtà". E questo, per Keret, è
quello che manca nella nostra società di oggi dove tutto è
dicotomizzato: sulla vaccinazione ci sono repubblicani contro
democratici, c'è il gruppo Me Too. Siamo divisi in gruppi o
tribù. O sei una cosa o non lo sei. E questo viene dai mass
media, dalla tecnologia: o sei amico o non sei amico. Da qui
derivano gli atteggiamenti estremisti e vige il
sensazionalismo".
Inoltre "viviamo in una sensazione sempre di catastrofe, o c'è
una tempesta mai vista o lo sfasamento globale. In un giorno
siamo passati dal Covid a Putin. Sembra che il passatempo di
oggi sia avere delle ossessioni per qualcosa che non riusciamo a
controllare, la catastrofe incombente". La verità, per Keret è
che "la narrativa di oggi non rispetta l'immaginazione. La
storia per noi è funzionale alla realtà e questo porta a un
ritorno di questi sentimenti tribali, all'odio e all'ansia"
spiega lo scrittore del quale l'ultimo libro pubblicato da
Feltrinelli è 'Un intoppo ai limiti della galassia'.
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