(di Marzia Apice) ALBERTO PELLAI E BARBARA TAMBORINI, VIETATO AI MINORI DI 14 ANNI.
SAI DAVVERO QUANDO E' IL MOMENTO GIUSTO PER DARE LO SMARTPHONE AI TUOI FIGLI? (De Agostini, pp.248, 12.90 euro).
"Siamo così pervasi dalle tecnologie che ci
può sembrare di far soffrire i nostri figli tirandoli fuori da
un ambiente naturale che però non lo è. La verità è che dovremmo
chiederci cosa vogliamo per la vita digitale dei nostri figli
fin da quando sono molto piccoli, altrimenti si rischia di
intervenire tardi, quando già tutto è successo": è un monito ma
anche un invito alle famiglie ad agire con responsabilità e
prudenza in tema di tecnologia, smartphone e bambini quello che
Alberto Pellai, intervistato dall'ANSA, fa nel libro "Vietato ai
minori di 14 anni", in libreria per De Agostini dal 7 settembre.
Scritto a quattro mani con sua moglie Barbara Tamborini, il
volume si presenta come un agile manuale ricco di consigli
pratici e testimonianze raccolte sul campo, utili ad aiutare i
genitori non solo quando si ritrovano a essere pressati dai
figli desiderosi di ottenere un proprio cellulare ma anche, se
il telefono è già stato comprato, a riparare a qualche errore,
fatto in buona fede o semplicemente per quieto vivere. Nel libro
non c'è nessuna volontà di colpevolizzare uno strumento
divertente, intuitivo, comodo, alla moda, la cui utilità è nota
a tutti. Lo spirito che anima gli autori, entrambi esperti di
psicologia dell'età evolutiva e con all'attivo molti libri di
parenting e psicologia, è solo quello di far comprendere i
rischi di un uso dello smartphone troppo precoce. Pellai e
Tamborini spiegano in 10 punti che lo smartphone non è adatto a
bambini: innanzitutto perché non risponde ai loro bisogni, e poi
interferisce con lo sviluppo della mente in età evolutiva e
influisce sulle reazioni emotive. In ogni caso non va mai dato
prima dei 14 anni, come rivelano le ultime ricerche
scientifiche, perché l'accesso alla rete in modo indiscriminato
può rivelarsi insidioso e videogiochi e social network
potrebbero creare dipendenze. Senza lasciarsi ingannare dalla
destrezza tecnologica dei propri figli e a costo di essere
impopolari, i genitori dovrebbero quindi riuscire a dire no,
concedendo solo l'uso di uno smartphone di famiglia. "La
sinergia di suoni e immagini a velocità maggiore è un meccanismo
che suscita l'attenzione emotiva. Le ricerche ci dicono che di
fronte a uno schermo acceso il bambino fa le cose in modo
diverso e ciò che accade lì dentro è più attraente della realtà:
bisogna invece creare un ambiente educativo che risponda ai
bisogni del bambino. Lo schermo blocca l'esperienza
multisensoriale della realtà", afferma Pellai, "i bambini magari
si iperspecializzeranno a usare le dita sullo schermo ma se non
prendono un libro in mano, a 20 anni avranno perso notevole
capacità di pensare. E' necessario che imparino a tollerare la
frustrazione e a fare esperienza della fatica. Lo smartphone è
divertente e poco impegnativo, nella vita però non serve il
paese dei balocchi ma andare a scuola".
Lei scrive che il rischio è di essere più connessi col fuori che
col dentro. "Il fuori con cui si è connessi è virtuale, non
reale, e si perde la connessione con il qui e ora", spiega, "la
narrazione della propria vita interiore perde di compattezza e
consistenza: ormai non si racconta più se stessi a se stessi nei
diari per costruirsi la propria identità come si faceva un
tempo, oggi tutti si narrano nei social agli altri con un fine
che è la popolarità e l'approvazione, non la verità. Si fa una
narrazione di sé che piace agli altri". "In questo momento
crediamo sia urgente generare una migliore e maggiore
consapevolezza rispetto all'impatto delle tecnologie sui minori.
Io e mia moglie non siamo fuori dal mondo, abbiamo 4 figli, e la
più piccola non ha ancora finito le medie", racconta, "Alcune
critiche ci arrivano da una parte della comunità scientifica che
dice che non ha senso allontanare i bambini dalle competenze
digitali visto che ci sono nati. Ma l'educazione digitale si può
raggiungere con un uso intelligente delle tecnologie di
famiglia, non con strumenti personali, usati come se fossero
protesi. Serve la supervisione adulta: se la tecnologia è di
famiglia, allora la famiglia ha ancora un ruolo educativo".
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