(di Paolo Petroni)
Una ragazza si siede al tavolino di
un caffè a Parigi e comincia a leggere 'La leggenda del santo
bevitore' di Joseph Roth, che è anche il titolo di questo
spettacolo che si replica all'Argentina di Roma fino a domenica
e il 5 sarà a Rovereto e poi in tournée.
Mentre lei legge, al bancone di quel locale si materializza
lo stesso Roth che sta finendo di scrivere quel suo libro, il
suo ultimo e pubblicato postumo nel 1939, e a sua volta lo legge
al barista che gli versa da bere, così, in un alternarsi di
terza e prima persona, questi diventa anche il protagonista del
racconto, il clochard Andreas buon bevitore. Quest'uomo, che
vive sotto i ponti della Senna da quando è uscito di prigione,
dove arrivò per colpa di Caroline, l'unica donna di cui si
ricordi tra le tante avute, una sera incontra lungo il fiume un
elegante signore che forse ha bevuto e è diventato allora
generoso come il milionario di 'Luci della città' di Chaplin, il
quale gli regala 200 franchi, a patto che un giorno li
restituisca portandoli nella chiesa di Santa Maria di Batignoles
alla giovane Santa Teresa di Lisieux che li si venera.
È l'inizio di un periodo in cui Andreas cerca per più giorni
di tener fede alla promessa di restituzione, ma nel percorso
verso la chiesa ogni volta succede qualcosa che lo distrae, la
vita lo porta per un altra strada, che comunque poi finisce
sempre con un nuovo 'miracolo', col fargli riguadagnare i sodi
che gli servo e anche molti di più. Ecco un ricco signore che
gli offre un lavoro, poi l'incontro Con caroline, quindi
l'apparizione di un celebre calciatore che fu suo compagno di
banco ed è generoso col vecchio amico, infine un lavoratore con
cui era stato in miniera. Eppure il connotato del suo essere è
la solitudine e questa rincorsa tra alti e bassi, alterne
fortune, debolezze umane e una sorta di candore, di virile senso
dell'onore e fiducia in un domani che finisce sempre annegato
nell'alcol, il vino di Andreas e l'acquavite che chiede il
Cecchi-Roth al barista, impersonato da Giovanni Lucini, mentre
la ragazza è Claudia Grassi, tutti e due con troppo poco spazio
per dimostrare e hanno delle qualità.
Uno spettacolo, prodotto dal Teatro Franco Parenti, che
suscitava molte attese per la peculiarità del personaggio e la
possibile identificazione esistenziale e sentimentale con
Andreas di uno dei nostri grandi interpreti della difficoltà di
vivere quale è Cecchi, che ha da poco compiuto 86 anni. Invece,
al di là del gioco di rispecchiamenti creato dalla regia di
Andrée Ruth Shammah e della scena di Gianmaurizio Fercioni
rigata di pioggia come lacrime di un pianto, tutto si limita a
una lettura, da cui l'attore prende quasi le distanze col suo
tono ironico e distaccato. L'andamento è solo affabulatorio
forte della sua inconfondibile voce, ora più cupa e incisiva,
ora più strascicata lenta, ora più veloce senza una vera ragione
in questo percorso verso la morte bella e dolce del clochard
alcolista. Insomma, nulla a che vedere col passato e le
possibilità di Cecchi davanti un simile personaggio, che qui non
prende vita, ma resta racconto, con una bella scelta di musiche.
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