Gli Stati Uniti sono pronti a un compromesso con l'Iran. Lo ha detto Steve Witkoff, l'inviato speciale di Donald Trump, in vista delle trattative che si apriranno sabato. La posizione di partenza degli Usa è lo "smantellamento del programma sul nucleare" iraniano ma questo "non significa che non troveremo modi per raggiungere un compromesso", ha spiegato Witkoff precisando che la "linea rossa" sta nel prevenire che Teheran usi come arma le sue capacità nucleari.
Alla vigilia dei colloqui "di alto livello" con gli Stati Uniti in Oman sul programma nucleare iraniano, Teheran si dice pronto a dare al confronto una "genuina possibilità" di successo, ma allo stesso tempo minaccia di cacciare dal Paese gli ispettori delle Nazioni Unite per il controllo dei siti nucleari, in risposta a non meglio precisate "minacce esterne". "Lungi dal fare spettacolo e limitarsi a parlare davanti alle telecamere, Teheran sta cercando un accordo reale ed equo", ha affermato su X Ali Shamkhani, consigliere della guida suprema dell'Iran Ali Khamenei.
Certo, Teheran e i suoi alleati regionali Hamas, Hezbollah e Houthi sono stati notevolmente indeboliti dalle offensive militari di Israele, e anche degli stessi Usa in Yemen, e quindi il suo potenziale deterrente è notevolmente diminuito. Non a caso il presidente americano Donald Trump ha peraltro affermato nelle ultime ore che "siamo vicini alla liberazione degli ostaggi a Gaza", mentre Israele ed Egitto hanno fatto sapere di essersi scambiati le bozze per un accordo di cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. La proposta egiziana, secondo alcune fonti, prevede il rilascio di otto ostaggi vivi e di otto corpi dei rapiti in cambio di una tregua della durata compresa tra 40 e 70 giorni e il rilascio di un gran numero di detenuti palestinesi.
In una ulteriore forma di pressione a tutto campo, Trump ha anche minacciato che un'azione militare contro l'Iran è "assolutamente" possibile, e "Israele sarà ovviamente molto coinvolto, come leader" dell'eventuale offensiva, se i colloqui in Oman tra il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi e l'inviato Usa per il Medio Oriente Steve Witkoff dovessero risolversi in un buco nell'acqua.
Gli Stati Uniti hanno peraltro pure imposto altre sanzioni all'Iran, solo due giorni dopo che Trump aveva annunciato i colloqui "diretti" di domani in Oman. A stretto giro, l'Iran aveva invece chiarito che si tratta di colloqui "indiretti". E alla vigilia ancora non si è chiarito di che natura saranno.
Nel 2015, durante il suo primo mandato presidenziale Trump ha unilateralmente ritirato gli Stati Uniti dall'accordo tra l'Iran e le potenze globali con il quale Teheran si impegnava a mettere sotto controllo internazionale il suo programma nucleare, in cambio di una progressiva revoca delle sanzioni. Da allora, Teheran ha quindi iniziato a revocare i propri impegni e ad arricchire una riserva di uranio a livelli che potrebbe essere sufficiente a produrre testate nucleari.
Teheran ha sempre negato che il suo programma nucleare abbia scopi militari, ma allo stesso tempo ora sembra affermare il contrario, quando Shamkhani sostiene che "il perdurare delle minacce esterne e la situazione di attacco militare potrebbero portare a misure deterrenti, tra cui l'espulsione degli ispettori dall'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica". Ma allo stesso tempo, sempre Shamkhani ha voluto sottolineare che il ministro degli Esteri Abbas Araghchi andrà in Oman "con piena autorità per i negoziati indiretti con l'America".
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