Il "fenomeno Alessandro Barbero",
come è stato ribattezzato in Italia, fa centro anche nel Regno
Unito, dove lo storico piemontese, professore universitario di
Storia medievale e divulgatore popolarissimo quanto
enciclopedico su tv, radio e internet, è chiamato a
rappresentare oggi la Penisola e la sua cultura al prestigioso
Oxford Literary Festival.
Un evento, presentato nell'aula magna dell'l'Exeter
College, per il quale si è già registrato il "tutto esaurito".
In perfetta sintonia con il pienone che ha suggellato ieri sera
una conversazione ospitata nella sede dell'ambasciata italiana a
Londra, affollata fino all'ultimo strapuntino.
A fare da filo conduttore è la presentazione dell'ultimo
libro di Barbero, pubblicato da Laterza: 'All'arme! All'arme! I
priori fanno carne' (grido che quasi 650 anni fa chiamò i
popolani fiorentini alla ribellione), nel quale egli traccia una
panoramica di quattro rivolte popolari concentratesi nell'Europa
medievale nel giro di pochi anni nella seconda metà del '300.
Incluso il sollevamento dei contadini francesi del 1358 noto
come Jacquerie, la rivolta "operaia" dei Ciompi a Firenze nel
1378 e quella contadina inglese del 1381.
"Rivolte, non rivoluzioni", in grado tuttavia di dire
qualcosa anche a noi contemporanei, ha spiegato l'autore in
ambasciata, stimolato dalle domande di Marco Varvello,
responsabile della sede Rai di Londra, dopo l'introduzione - da
diplomatico appassionato di studi storici - del padrone di casa,
l'ambasciatore Inigo Lambertini. Non senza sottolineare il
contesto di un Medioevo al suo apogeo sullo sfondo di quei
movimenti di popolo, nati non come esplosioni di disperazione,
ma sulla scia di un'epoca di miglioramenti sociali ed economici
senza precedenti per l'epoca, e uniti semmai a forme di
consapevolezza della perdurante ingiustizia strutturale "del
sistema".
Notazioni che suggeriscono a Barbero un più generale
richiamo all'utilità della storia, anche nei giorni nostri, non
tanto come "magistra vitae", formula ormai "polverosa", ma come
strumento di conoscenza prospettica della natura umana:
specialmente oggi, in tempi di nuove guerre, "spaventosi
semplificatori" di ogni riflessione. E che sono state
riecheggiate a più riprese nel dialogo con Varvello, incentrato
inevitabilmente anche sulla storia delle relazioni fra italiani
e inglesi nei secoli (dall'epoca della riconosciuta superiorità
culturale, ma anche economica della Penisola sull'Isola, durata
fino al 500 circa, a quella in cui rapporti e percezioni si sono
poi invertite). Nonché sull'esperienza dello studioso piemontese
a cavallo fra ricerca storica accademica e divulgazione:
intrecciate da una stessa volontà e capacità straordinaria di
raccontare.
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