Si allunga l'ombra dell'insider trading su Donald Trump per il post in cui assicurava che era il momento di comprare, poche ore prima di sospendere i dazi reciproci. I dem sono partiti all'attacco chiedendo un'indagine, mentre i media americani ricostruiscono i retroscena dell'improvviso dietrofront del tycoon, che ha ceduto ad una serie di crescenti pressioni in una situazione che per lui stava diventando politicamente, economicamente e finanziariamente insostenibile.
I sospetti di insider trading nascono da una frase scritta a caratteri cubitali sulla sua piattaforma Truth mercoledì mattina: "Questo è un grande momento per comprare!!! Djt". Meno di quattro ore dopo l'annuncio — sempre su Truth — della tregua sui dazi, che ha fatto volare Wall Street e incassare somme favolose a tutti coloro che nel frattempo avevano acquistato titoli a prezzi stracciati. Ci ha guadagnato anche il tycoon, con la sua Trump Media and Technology Group che controlla Truth e la cui quota di maggioranza del 53% è in trust controllato dal figlio maggiore Don Jr: +22,67%, ossia 415 milioni tondi tondi.
L'interrogativo è: il presidente ne ha approfittato, insieme al suo entourage? Ad aumentare i sospetti, oltre alla firma sul post (Djt sono le iniziali del presidente, ma anche il simbolo della sua società mediatica in Borsa), il fatto che lo stesso tycoon abbia ammesso che ci stava pensando da alcuni giorni.
I dem sono passati all'attacco. "Le monete dei meme di famiglia e tutto il resto non sono al di fuori dell'insider trading o dell'arricchimento personale", ha denunciato il senatore Adam Schiff. "Chi nell'amministrazione era a conoscenza in anticipo dell'ultimo dietrofront tariffario di Trump? Qualcuno ha comprato o venduto azioni, traendo profitto a spese del pubblico?", ha incalzato, chiedendo un'indagine insieme a Elizabeth Warren. "Sta montando uno scandalo di insider trading", gli ha fatto eco il collega Chris Murphy, mentre la deputata Alexandria Ocasio-Cortez ha chiesto che tutti i membri del Congresso svelino le azioni comprate nelle ultime 24 ore.
Gli avvocati etici condividono le preoccupazioni dei dem, sottolineando anche altri conflitti d'interesse del tycoon.
Intanto, i media Usa rivelano come è maturata la tregua sui dazi, che la Casa Bianca tenta di vendere come mossa studiata di un grande piano, frutto dell' "art of the deal" di Trump. Per una settimana il presidente ha fatto il "game of chicken", il gioco del pollo, quando due persone guidano l'una verso l'altra e il primo a sterzare (o "tirarsi indietro") è considerato il perdente.
Alla fine a sterzare è stato il tycoon, sottoposto a una crescente pressione. Prima quella dei ceo di Wall Street e Big Tech, tra cui il suo first buddy Elon Musk e molti suoi grandi donatori. Poi quella di numerosi parlamentari del suo partito, pronti anche a firmare una legge per dare al Congresso il potere sui dazi. Quindi il persistere del crollo di Wall Street tra le "paure", il "nervosismo" degli investitori e le fosche previsioni di recessione degli addetti ai lavori, che l'hanno indotto a correggere il tiro aprendo ai negoziati, a partire da Giappone e Corea del Sud.
Ma il fattore cruciale che l'avrebbe convinto a cedere è stato l'allarme sul mercato dei bond Usa, che rischiava di minare la fiducia degli investitori internazionali e quindi il debito pubblico americano. Il vero regista della svolta è stato quello che Wall Street considera il più credibile dei luogotenenti di Trump: il segretario al Tesoro Scott Bessent, che nel weekend a Mar-a-Lago lo ha convinto a sospendere i dazi per 90 giorni e trattare con i partner mantenendo la pressione sulla Cina. Ora sarà lui a guidare i negoziati, oscurando la stella del consigliere Peter Navarro, l'architetto dei dazi detestato da Wall Street, criticato dai repubblicani e ritenuto un "cretino" da Elon Musk.
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