Una vita politica in bilico. Tra il pratone di Pontida e le stanze di governo. Quarant'anni dopo la sua fondazione, la Lega continua a tenere insieme le sue due facce. Che hanno attraversato le stagioni politiche, cambiando slogan, nomi e attori principali. Ma con qualche caposaldo invariato: un leader forte, antenne sempre rivolte alla pancia degli elettori e una voce grossa. Spesso carica di invettiva e di attacchi all'establishment, dalla "Roma ladrona" di allora alla "Bruxelles dei burocrati" di oggi. Lo stesso establishment di cui la Lega è via via diventata un'interprete importante, a forza di compromessi e alleanze. I suoi esponenti vantano di essere la formazione con la storia più antica nell'attuale Parlamento. Una storia lunga, passata a cercare il 'popolo', ma anche a cucire accordi ai più alti livelli.
A lanciare la Lega sul doppio binario, quello di lotta e di governo, è proprio il suo fondatore, Umberto Bossi. Che, tra un palco e l'altro, snocciola affondi alla classe dirigente del tempo. Roma come metafora di malaffare, a cui rivolgere un sonoro 'gesto dell'ombrello'. Pontida, lì dove sarebbe nata la Lega lombarda contro il Barbarossa, diventa il 'luogo sacro' della causa autonomista. Lì, a partire dal 1990, Bossi giura fedeltà al 'popolo padano'. Nei bar e nelle feste delle province del Nord, prova le cosiddette 'sparate', che poi replicherà sulla scena nazionale. Ma il Senatùr non disdegna i palazzi romani, dove si chiude l'accordo che porta diversi leghisti nel primo governo Berlusconi. "La Lega ce l'ha duro", ripete il leader. E allora via con gli insulti, come "Berluskaiser" e "Forzacoso", a cui si aggiungono le allusioni ai presunti legami del premier con la mafia. Fino al ribaltone, elaborato a cena con D'Alema e Buttiglione. Dove Bossi, padrone di casa, offre una scatoletta di sardine e poco più.
Dopo la rottura, la Lega Nord inasprisce la 'lotta' e grida alla secessione. Nel '96 Bossi proclama "l'indipendenza della Padania". L'anno dopo, in un clima rovente, un gruppo di secessionisti veneti delusi dal partito arrivano in piazza San Marco a Venezia con un tank fatto in casa e occupano il campanile. Nelle manifestazioni leghiste cominciano a bruciare le bandiere italiane. Tricolori che lo stesso leader invita a "mettere nel cesso". Poi è di nuovo tempo di governo e di pace nel centrodestra. Dopo l'approvazione in Parlamento della devolution, nel 2005, il Senatùr ammette: "meglio la via delle riforme che quella dello scontro".
L'ambivalenza, però, non si chiude quando Bossi lascia il posto di segretario. Alla fine di un periodo travagliato, è Matteo Salvini nel 2017 a rifondare il partito, che diventa "Lega Salvini premier". Il progetto è quello di un grande partito nazionale, non più confinato alle istanze del Nord. Con lo slogan 'basta Euro', l'obiettivo viene spostato. Salvini cannoneggia contro l'Europa e l'immigrazione illegale. Al posto della canotta, veste felpe di qualsiasi luogo, associazione o corpo incontri. Non prova gli slogan nei bar, ma si affida ai potenti mezzi dei social media manager. Come il fondatore, però, non rinuncia agli accordi decisivi. Fa nascere il primo governo Conte. Poi, dalla spiaggia di Milano Marittima, lo manda all'aria. Irrequietezza che porta anche dentro al governo Meloni, di cui è vicepremier. Ma fa sempre ritorno a Pontida. Che resta al centro della 'galassia Lega', nonostante appaia meno colorata di verde di un tempo.
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