L'orrore di una pratica non così rara come il cannibalismo è piombato ieri sul Lido con tutta la forza macabra dell'uomo che mangia l'uomo. 'Fires' on the Plain del giapponese Shinya Tsukamoto, in concorso alla Mostra di Venezia, parla proprio di questo. E lo fa con una storia vera, accaduta in un'isola delle Filippine nel 1945, quando le forze armate imperiali giapponesi, totalmente tagliate fuori dagli aiuti e dalle provviste degli alleati, divennero come animali. Tratto dal romanzo 'La strana guerra del soldato Tamura' di Shkei Oka, il film, girato con grande ritmo e originalità dal regista considerato il David Lynch giapponese, ha un grande merito. Quello di introdurre lo spettatore, lentamente, nella prospettiva del cannibalismo come una pratica non così assurda e tabù.
Questo grazie a una lenta descrizione visiva e spirituale di quello che accade a un uomo quando non ha davvero nulla da mangiare. Specie durante una guerra nelle quale le carni straziate dei compagni d'arme mostrano, involontariamente, la loro natura di cibo. Una guerra cruda, quella descritta dal regista, che racconta un periodo particolare, al termine della seconda guerra mondiale, quando molti militari giapponesi che avevano invaso l'isola si ritrovarono ad affrontare la resistenza degli abitanti. "Sicuramente è più facile conquistare la simpatia del pubblico se ti schieri con il punto di vista della vittima - dice Shinya Tsukamoto -. Gli spettatori comprendono perché non dovremmo lasciarci coinvolgere in una guerra, proprio perché si identificano con la vittima.
Ma ciò che più spaventa è che, anche se è terribile essere una vittima, è molto peggio essere l'esecutore. Potremmo morire, ma potremmo anche uccidere: è questa l'idea che più spaventosa. E ciò accadrebbe non perché ci odiamo tra di noi, ma perché è stato deciso dai leader dei due paesi antagonisti. Per questo motivo dobbiamo ucciderci l'un l'altro". Sulla scelta invece del libro 'La strana guerra del soldato Tamura' il regista spiega: "Quando l'ho letto la prima volta mi ricordo che mi ha dato un senso molto vivido di cosa sia la guerra, di quanto sia terrificante. Mi sembrava molto reale. Sentivo che la guerra era ritratta come un qualcosa di molto immediato.
Il romanzo La guerra del soldato Tamura (Nobi) ha questo senso molto originale di realismo, grazie al quale ho provato la sensazione di trovarmi negli abiti del protagonista mentre leggevo. I libri sulla guerra che ho letto in quel periodo erano generalmente scritti dal punto di vista delle vittime. Ma non La guerra del soldato Tamura: quest'opera spiega che dal momento in cui andiamo in guerra, siamo noi gli esecutori. Potremmo uccidere qualcuno. Il che diventa una fonte di paura, oltre che di frustrazione. Inoltre - conclude Tsukamoto - sopravviene la paura che possa terminare l'unica vita di cui disponiamo in questo mondo".
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