Sulla collina spoletina di Bazzano Inferiore prende vita il "Telefono del vento", un'installazione pensata per dare voce a chi ha qualcosa da dire a una persona cara scomparsa.
Il progetto, voluto dalla Fondazione Amen con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto, si ispira a un'idea nata in Giappone e già diffusa in altre parti del mondo.
Si tratta di una vecchia cabina telefonica collocata in un luogo di quiete, al cui interno è stato posizionato un telefono senza linea, simbolo di un ponte tra il visibile e l'invisibile.
Accanto, un libro in cui i visitatori possono lasciare messaggi e pensieri.
L'iniziativa nasce da un'esperienza personale di Stefano Andreini, presidente della Fondazione Amen. "Quando avevo dieci anni - racconta all'ANSA - mio nonno è morto improvvisamente.
Sentivo il bisogno di dirgli qualcosa, ma non sapevo come. Così scrivevo lettere e le bruciavo, immaginando che in qualche modo gli arrivassero". "Quando ho scoperto l'esistenza del Telefono del vento - aggiunge - mi è tornato in mente quel bambino e ho voluto portare questa esperienza anche a Spoleto".
Oltre a essere un luogo di raccoglimento e memoria, il "Telefono del vento" ha anche una funzione sociale. "Se qualcuno lasciasse un messaggio nel libro che esprime una richiesta d'aiuto - spiega Andreini - la nostra Fondazione è pronta ad accogliere quel bisogno. Collaboriamo con psicologi che offrono supporto gratuito, soprattutto per chi affronta un lutto o altre difficoltà emotive".
Il progetto ha vinto il bando promosso lo scorso anno dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Spoleto, presieduta da Dario Pompili, e punta a coniugare introspezione e turismo esperienziale. Quello di Spoleto è il primo "Telefono del vento" in Umbria e il quinto in Italia, dopo le installazioni in Toscana, Piemonte, Veneto e Lombardia.
Un'iniziativa che vuole offrire uno spazio in cui poter esprimere ciò che spesso rimane inespresso, lasciando che il vento porti via parole, ricordi e, forse, un po' di dolore. "Se potessi tornare bambino e parlare di nuovo con mio nonno - conclude Andreini - gli chiederei se è soddisfatto di quello che sto facendo."
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