"Decidiamo: vogliamo fare
un'eccezione culturale italiana? Sì o no? Tutto il mondo recita
nelle lingue di appartenenza, solo noi continuiamo a pensare di
dover far l'inchino agli americani, finchè non andremo a
sbattere. Il problema non è la lingua di per sè, tanto doppiamo
tutto, ma culturale. Favino ha ragione, io stesso un anno fa ho
detto le stesse cose, lo stimo e trovo insopportabile questa
nuova moda, partita con House of Gucci, in cui si mette in scena
come parlerebbero gli italiani fatti dagli inglesi e americani,
un inglese italianizzato recitato però da un disastrato mentale.
Ora in Ferrari c'è Penelope Cruz che parla in accento spagnolo
tentando di essere romagnola, tipo esorcista con vari voci
dentro di sè" dice Luca Barbareschi a Venezia, dove ha
presentato oggi fuori concorso il nuovo film di cui è regista,
protagonista e coproduttore con Rai Cinema The Penitent, scritto
da David Mamet e in sala prossimamente con 01.
"Il problema vero è che dovremmo essere noi a raccontare le
storie italiane. Lo dico pensando ai miei figli: vorrei che la
narrazione italiana venisse trasmessa con strumenti elaborativi
e restituzione culturale. E in questo non siamo secondi a
nessuno, invece ci tocca sentire parole storpiate. Con questo
non dico di proibire nulla ma mi auguro si facciano grandi
investimenti culturali", prosegue Barbareschi citando i 2.7
milioni di euro di Zdf sulla narrazione autoctona. "In
definitiva - aggiunge Barbareschi che a Venezia 80 ha portato
anche come coproduttore (e anche attore) The Palace di Roman
Polanski - dispiace lasciare agli altri raccontare noi italiani,
che invece abbiamo un potenziale creativo infinito".
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