"Giocavo con grande serietà, a un
certo punto i miei giochi li hanno chiamati arte". Parlava così
delle sue opere Maria Lai, l'artista di Ulassai scomparsa nel
2013, prima in Italia a dar vita all'arte relazionale.
Conosciuta soprattutto per le sue opere tessili, definita dal
critico Giorgio Di Genova come una poetica amanuense del cucito,
non poteva non trovare intrecci con altre forme d'arte.
Spicca il sodalizio che la legò profondamente allo stilista
algherese Antonio Marras. Un legame che non è passato
inosservato negli Stati Uniti: così dal 17 maggio al 28 luglio
prossimo, Magazzino Italian Art, negli spazi del Robert Olnick
Pavilion, espone per la prima volta l'installazione 'Llencols de
aigua' (Lenzuola d'acqua), realizzata con Marras nel 2003 ad
Alghero. L'opera di grandi dimensioni, che accompagna la prima
retrospettiva negli Stati Uniti dedicata da Magazzino Italian
Art all'opera di Maria Lai., A Journey to America, è composta da
lunghi teli bianchi cuciti a mano, arricchiti da antiche camicie
da notte ricamate con frasi raccolte dalla Lai durante un
progetto didattico con bambini.
L'installazione, che appartiene alla collezione privata di
Marras, sarà posizionata nella sala isotropa del museo
(progettata dall'architetto Alberto Campo Baeza), simbolo del
Robert Olnick Pavilion: un cubo, perforato in ciascun angolo da
finestre di forma quadrata che generano un flusso di luci e
ombre in continua evoluzione.
"L'incontro con Maria Lai - racconta Marras - ha segnato il
mio approccio con l'arte e non solo. Per me ha significato una
vera e propria svolta. Con lei ho avuto un rapporto speciale,
una sintonia di interessi e di idee che continuano a vivere,
immutati. Maria Lai è stata una presenza straordinaria nella mia
vita. Mi ha dato la forza di parlare attraverso le immagini. Mi
ha insegnato a vedere nelle cose ciò che non si vede".
"Maria Lai - sottolinea Paola Mura, direttrice artistica di
Magazzino Italian Art - concepiva l'arte come un intreccio di
molti fili: estetici, etici, narrativi e relazionali. Le sue
collaborazioni con Antonio Marras, tra tessuto e memoria,
rivelano non solo il suo impegno nel dialogo, ma anche la
convinzione che la creazione sia un atto plurale. Attraverso
questi incontri, l'arte diventava, per Lai, non un oggetto
finito, ma una conversazione in continuo divenire. Non
collaborava per condividere la scena, ma per ampliare il
palcoscenico. Con gli architetti costruiva spazi e memorie. Con
i musicisti faceva cantare il filo. Con Antonio Marras, vestiva
l'invisibile".
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