Gli annunci estemporanei di Donald Trump ormai non sorprendono più. In un clima da piena guerra commerciale Bruxelles è decisa, se necessario, a colpire l'economia americana dove fa più male per generare "il massimo impatto". Dietro il pugno duro però si cela il doppio registro di Ursula von der Leyen, chiamata a un delicato esercizio di equilibrismo: mostrare i muscoli a Washington mantenendo tuttavia vivo il dialogo per scongiurare un'escalation che potrebbe colpire le eccellenze industriali e agroalimentari delle big Ue.
"Serve un accordo negoziato", è il leitmotiv che riecheggia da Palazzo Berlaymont sulla spinta di Roma e Parigi. Anche se la via diplomatica, invocata anche dall'industria dell'auto continentale, per ora non ha portato frutti: fallita la missione sul suolo americano, il commissario Ue al Commercio, Maros Sefcovic, è volato a Pechino in cerca di sponde in un Oriente altrettanto in trincea. Il fentanyl è un pretesto usato da Trump per ordinare le sovrattasse, ha attaccato il Dragone, respingendo l'offerta del tycoon di sconti sui dazi in cambio del via libera alla vendita di TikTok. Oltre alla rappresaglia in sé, a tenere banco in Europa sono i calcoli politici sui simboli americani da colpire.
I "controdazi intelligenti" - rinviati dal primo al 13 aprile - in risposta alla raffica di tariffe di Trump su acciaio e alluminio restano in fase di definizione. L'elenco, dal valore di oltre 21,5 miliardi di euro, è ancora sotto chiave, ma sarà mirato a "provocare il massimo impatto sugli Stati Uniti, riducendo al minimo i danni per l'economia europea", ha garantito il portavoce della Commissione, dopo il "grande rammarico" espresso da von der Leyen per la decisione americana. I funzionari Ue lavorano con il bisturi: dal vecchio arsenale anti-Trump potrebbero essere depennati alcuni marchi iconici come il bourbon per evitare ritorsioni su prosecco, champagne e cognac.
Italia e Francia tengono alta la guardia a difesa delle loro bollicine, ma a temere il rischio boomerang è anche l'automotive già alle prese con la svolta green e il dumping cinese. Colpire le auto e i componenti "penalizzerà anche le case che producono negli Stati Uniti e il conto lo pagheranno i consumatori americani", hanno sottolineato i giganti del Vecchio Continente - da Mercedes a Stellantis - riuniti nell'associazione europea Acea. Una linea sposata dalle case tedesche che, per bocca della presidente della Vda, Hildegard Mueller, hanno invocato "un accordo bilaterale Ue-Usa". A Bruxelles l'unica certezza è che, senza una retromarcia di Trump, la replica sarà "ferma, calibrata e tempestiva". Anche perché, a costo di sembrare un regolamento di conti da cortile, "è stata Washington a iniziare". Una premessa dalla quale Emmanuel Macron ha rilanciato il suo appello alla Casa Bianca: fermarsi prima che sia troppo tardi.
"E' paradossale che siano proprio gli alleati più stretti a finire nel mirino", ha detto l'inquilino dell'Eliseo dopo aver riunito i volenterosi per Kiev, ribadendo una posizione condivisa tra i Ventisette: i dazi non sono solo un errore economico, ma anche una scelta geopolitica controproducente capace di scatenare una guerra che, nelle parole del vicepremier Antonio Tajani, "non conviene a nessuno". Un messaggio condiviso anche a Oriente, dove Sefcovic è arrivato per tessere la tela alternativa dell'Europa cercando da un lato di raffreddare le tensioni sulle auto elettriche e dall'altro di strappare garanzie sulla concorrenza leale utile a tenere a bada dumping e sovraccapacità industriale, nodi destinati ad aggravarsi con la possibile linea dura Usa.
Il responsabile del Commercio Ue ha incassato l'apertura del vicepremier cinese He Lifeng, pronto "a rafforzare il dialogo e la comunicazione" con Bruxelles e a "gestire correttamente le controversie economiche e commerciali" in nome della lotta comune contro "l'unilateralismo e il protezionismo". E anche il Giappone non ha usato mezzi termini, bollando le misure di Trump come "estremamente spiacevoli" e avvertendo sui rischi per i legami bilaterali, l'economia globale e l'intero ordine multilaterale. Una risposta ferma arrivata anche da Messico e Venezuela, con la presidente messicana Claudia Sheinbaum decisa a impartire "una risposta completa" al tycoon.
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