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Mediterranea, agli studenti spieghiamo le storie di chi salviamo

Mediterranea, agli studenti spieghiamo le storie di chi salviamo

'Basta con la narrazione sbagliata sui migranti cattivi'

NAPOLI, 07 febbraio 2025, 20:04

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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"Ai tanti studenti delle scuole di Napoli basterà secondo me banalmente raccontare le storie di queste persone che salviamo con la nostra nave, per far capire ai giovani che queste persone sono esattamente come noi, ma purtroppo sono nate del lato sbagliato del mondo. Per i bambini sarà molto facile capirlo perché sono quelli che rispondono sempre meglio". Così Sheila Melosu, capomissione della nave di Mediterranea Saving Humans spiega il senso della visita della nave Mare Jonio, che è ora al porto di Napoli e che dall'8 al 16 febbraio avrà gli open days, con già mille persone prenotate di cui 500 studenti.
    La nave Jonio è impegnata dal 2018 nel soccorso e salvataggio in mare e si apre ora alla società civile a cui i capi missione spiegheranno il funzionamento delle missioni di salvataggio mostrando tutte le fasi del processo, fino allo sbarco delle persone soccorse in un porto sicuro. Larghissima la partecipazione delle scuole napoletane che hanno risposto in massa con tantissime richieste di visite a bordo. Sulla Mare Jonio arriveranno artisti, volti della politica, dello spettacolo, ma anche le realtà sociali di base, quelle del mondo laico e cattolico, attivisti, e tanti semplici cittadini che con la loro presenza vogliono far sentire il sostegno a Mediterranea Saving Humans, su una nave che di solito salva circa 90 persone nel mare portandole alla costa, ma ha avuto anche giorni molto duri, uno in cui ha imbarcato per salvarli 214 immigrati tutti insieme.
    Un'opera che viene condotta in un clima culturale a volte duro con gli immigrati: "Ci impongono - spiega Melosu - una narrazione sbagliata, di credere che chi è diverso, ma non si sa bene in cosa, da noi sia cattivo, che siano le persone da perseguitare e dalle quali ci dobbiamo soprattutto difendere. A mio avviso la narrazione più sbagliata è quella di doverci difendere, del dover difendere le frontiere, invece di aprirle per poter accogliere delle persone che hanno veramente bisogno di cambiare vita. Come in passato abbiamo avuto bisogno noi o i miei nonni banalmente".
    "Il salvataggio in mare - racconta Melosu - avviene con una rete di collaborazione che si chiama Civil Fleet e si occupa appunto di soccorsi in mare grazie a una rete di volontari attivisti in tutto il Mediterraneo. Spesso ci vengono fatte delle segnalazioni, che noi condividiamo sempre con le autorità competenti, e interveniamo agli Sos avvicinandoci alle barchette in difficoltà che solitamente sono sovraffollate, senza nessun tipo di oggetto che possa assicurare le persone in caso di naufragio. La prima cosa che facciamo è distribuire i lifejacket in modo che qualsiasi cosa succeda, le persone possano galleggiare e poi operiamo il vero e proprio soccorso mettendo e portando al sicuro le persone sulla nostra nave. Da lì i medici e i paramedici che abbiamo a bordo si occupano della loro salute, facciamo un primo screening condividendo sempre tutte le informazioni con le autorità competenti. Quello che non facciamo è rivolgerci a delle autorità che non riconosciamo, come la cosiddetta Guardia Costiera libica, perché come tutti ben sappiamo e abbiamo visto ultimamente, in Libia non si fa altro che torturare, stuprare e trattenere illegalmente le persone che cercano di raggiungere l'Europa". La prossima missione sarà nei primi mesi di quest'anno, "l'ultima - ricorda Melosu - che abbiamo fatto come Mediterranea è stata con una barca a vela, Safira, che ha soccorso circa 80 persone, tra cui anche dei minori e delle donne a dicembre, del 2024. Quella con Mare Ionio l'abbiamo conclusa a ottobre e purtroppo la conclusione, come spesso succede, è stata accompagnata dall'attuazione del decreto Piantedosi nei nostri confronti, con un fermo di 20 giorni".
   
   

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