"Ai tanti studenti delle scuole di
Napoli basterà secondo me banalmente raccontare le storie di
queste persone che salviamo con la nostra nave, per far capire
ai giovani che queste persone sono esattamente come noi, ma
purtroppo sono nate del lato sbagliato del mondo. Per i bambini
sarà molto facile capirlo perché sono quelli che rispondono
sempre meglio". Così Sheila Melosu, capomissione della nave di
Mediterranea Saving Humans spiega il senso della visita della
nave Mare Jonio, che è ora al porto di Napoli e che dall'8 al 16
febbraio avrà gli open days, con già mille persone prenotate di
cui 500 studenti.
La nave Jonio è impegnata dal 2018 nel soccorso e salvataggio
in mare e si apre ora alla società civile a cui i capi missione
spiegheranno il funzionamento delle missioni di salvataggio
mostrando tutte le fasi del processo, fino allo sbarco delle
persone soccorse in un porto sicuro. Larghissima la
partecipazione delle scuole napoletane che hanno risposto in
massa con tantissime richieste di visite a bordo. Sulla Mare
Jonio arriveranno artisti, volti della politica, dello
spettacolo, ma anche le realtà sociali di base, quelle del mondo
laico e cattolico, attivisti, e tanti semplici cittadini che con
la loro presenza vogliono far sentire il sostegno a Mediterranea
Saving Humans, su una nave che di solito salva circa 90 persone
nel mare portandole alla costa, ma ha avuto anche giorni molto
duri, uno in cui ha imbarcato per salvarli 214 immigrati tutti
insieme.
Un'opera che viene condotta in un clima culturale a volte
duro con gli immigrati: "Ci impongono - spiega Melosu - una
narrazione sbagliata, di credere che chi è diverso, ma non si sa
bene in cosa, da noi sia cattivo, che siano le persone da
perseguitare e dalle quali ci dobbiamo soprattutto difendere. A
mio avviso la narrazione più sbagliata è quella di doverci
difendere, del dover difendere le frontiere, invece di aprirle
per poter accogliere delle persone che hanno veramente bisogno
di cambiare vita. Come in passato abbiamo avuto bisogno noi o i
miei nonni banalmente".
"Il salvataggio in mare - racconta Melosu - avviene con una
rete di collaborazione che si chiama Civil Fleet e si occupa
appunto di soccorsi in mare grazie a una rete di volontari
attivisti in tutto il Mediterraneo. Spesso ci vengono fatte
delle segnalazioni, che noi condividiamo sempre con le autorità
competenti, e interveniamo agli Sos avvicinandoci alle barchette
in difficoltà che solitamente sono sovraffollate, senza nessun
tipo di oggetto che possa assicurare le persone in caso di
naufragio. La prima cosa che facciamo è distribuire i lifejacket
in modo che qualsiasi cosa succeda, le persone possano
galleggiare e poi operiamo il vero e proprio soccorso mettendo e
portando al sicuro le persone sulla nostra nave. Da lì i medici
e i paramedici che abbiamo a bordo si occupano della loro
salute, facciamo un primo screening condividendo sempre tutte le
informazioni con le autorità competenti. Quello che non facciamo
è rivolgerci a delle autorità che non riconosciamo, come la
cosiddetta Guardia Costiera libica, perché come tutti ben
sappiamo e abbiamo visto ultimamente, in Libia non si fa altro
che torturare, stuprare e trattenere illegalmente le persone che
cercano di raggiungere l'Europa". La prossima missione sarà nei
primi mesi di quest'anno, "l'ultima - ricorda Melosu - che
abbiamo fatto come Mediterranea è stata con una barca a vela,
Safira, che ha soccorso circa 80 persone, tra cui anche dei
minori e delle donne a dicembre, del 2024. Quella con Mare Ionio
l'abbiamo conclusa a ottobre e purtroppo la conclusione, come
spesso succede, è stata accompagnata dall'attuazione del decreto
Piantedosi nei nostri confronti, con un fermo di 20 giorni".
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