(di Nando Piantadosi)
A Pomigliano d'Arco, popoloso
comune a nord di Napoli, la camorra c'è e si vede: per almeno un
paio d'anni ha gestito traffici e messo a rischio l'incolumità
dei cittadini, anche usando minorenni che, per scalare le
gerarchie e farsi belli agli occhi del boss, hanno usato la
violenza pure quando non era necessaria. Un sistema criminale al
quale ha assestato un colpo l'indagine avviata nel 2023 dalla
Dda con la Procura dei minorenni che ha portato a 27 arresti,
quattro dei quali di minorenni. A uno, affiliato al clan
Cipolletta, acerrimo nemico dei Ferretti-Mascitelli (legati ai
Mazzarella), viene contestato il reato di associazione mafiosa:
un baby-camorrista orgoglioso della sua affiliazione, tanto da
tatuarsi sul polso il nome del clan, lo stesso del quale
apparteneva il padre morto.
L'anno scorso, a mettere in dubbio la presenza della
criminalità organizzata a Pomigliano fu il sindaco Lello Russo,
che ora però precisa di essere stato strumentalmente frainteso.
Le sue parole ("nella mia città non c'è alcun clan
camorristico"), pronunciate dopo la richiesta di una commissione
d'accesso del deputato Francesco Emilio Borrelli provocarono la
risposta piccata della presidente della Commissione parlamentare
antimafia Chiara Colosimo, che invitò il primo cittadino a una
"maggiore prudenza e cautela, soprattutto in caso di incompleta
consapevolezza del fenomeno" mafioso. Colosimo che oggi ha
lodato il lavoro dei militari e delle procure ribadendo "la
presenza e la pervasività del fenomeno camorristico anche, e
soprattutto, all'interno dell'hinterland napoletano". Pure il
procuratore Nicola Gratteri ha fatto suo il concetto: "Il
sindaco ha detto che da decenni non c'era camorra a Pomigliano,
mi pare che sia stato smentito". Dal canto suo Russo ha
ringraziato i magistrati e carabinieri e ha sottolineato che,
all'epoca come oggi, intendeva affermare che "la camorra non
esiste", sì, ma "all'interno del Palazzo municipale".
Agli indagati sono contestati a vario titolo una lunga serie
di reati, tra cui incendio, tentato omicidio, detenzione a fine
di spaccio di droga, uso dei cellulari in carcere per dare
ordini agli affiliati, usura e sequestro di persona. Delitti in
parte commessi nell'ambito della contrapposizione armata
finalizzata al controllo del territorio e della droga.
I Cipolletta, grazie ai droni, gestivano l'introduzione di
stupefacenti e cellulari nel carcere di Carinola. Documentate 14
estorsioni, a imprenditori e commercianti, 11 rapine violente,
quasi tutte compiute dai minorenni e una serie di stese.
Sequestrata una trentina di armi, tra fucili e pistole, e circa
90mila euro in contanti grazie ai quali, ha detto Gratteri, "ci
siamo pagati le intercettazioni". Intercettazioni, è stato
sottolineato, risultate anche stavolta decisive e rivelatrici,
ad esempio, della facilità e disinvoltura con cui gli indagati
disponevano e maneggiavano ogni tipo di arma. Al punto, in un
caso, di scarrellare la pistola in casa, perfino davanti a un
bambino di 6 anni: "Papà, dove vai con la pistola?", la voce
del bimbo catturata dai microfoni.
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