L'introduzione dei dazi Usa in
termini di competitività dei vini italiani mette a rischio più
i vini fermi imbottigliati, dove c'è maggiore concorrenza extra
Ue che gli sparkling, visto che i principali esportatori sono
europei e quindi soggetti tutti allo stesso dazio aggiuntivo del
20%. E' quanto emerge dalla prima analisi sulle attività dei
Paesi concorrenti, realizzata da Bmti, a fronte della
rivoluzione tariffaria sui mercati. Con l'introduzione del dazio
aggiuntivo del 20%, le imprese statunitensi che importano vino
dovranno sostenere un aumento dei costi, con ripercussioni sui
volumi di consumo e sulla selezione dei prodotti.
Per quanto riguarda gli sparkling, l'accesso al mercato
americano resta dominato dai Paesi Ue (65% Italia, 20% Francia e
12,5% Spagna.) su cui grava lo stesso dazio del 20%; secondo
Bmti il Paese che potrebbe beneficiare di una posizione
vantaggiosa è l'Argentina che, nel 2024, è stato il quinto Paese
per volumi esportati negli Usa e che beneficerà di un dazio
relativamente vantaggioso (10%) rispetto ai competitor europei.
Una facilitazione competitiva che va comunque letta e
dimensionata alla luce dell'attuale peso decisamente residuale,
dei vini sparkling argentini (0,3% del totale) rispetto a quelli
italiani ed europei. Diverso è il mercato dei vini fermi
imbottigliati che non è di 'quasi esclusiva' competenza europea.
Tra i primi 10 paesi esportatori, infatti, ce ne sono 5 non
europei, con una quota minoritaria ma non trascurabile. La nuova
geografia dei dazi darebbe quindi vantaggi competitivi a un
gruppo di Paesi concorrenti a quelli europei, come Australia,
Nuova Zelanda, Cile e Argentina, che nel 2024 hanno prodotto
insieme circa il 30% dei vini fermi importati dagli Stati Uniti
e che vedranno sui propri vini un dazio aggiuntivo di solo il
10%.
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