Il pubblico ministero Walter Cotugno e l'aggiunto Paolo D'Ovidio hanno chiesto il rinvio a giudizio per le due persone indagate per la mareggiata che il 30 ottobre 2018 devastò la diga di Rapallo provocando il naufragio di 225 imbarcazioni di lusso tra le quali anche lo yacht di Pier Silvio Berlusconi. Si tratta del progettista della struttura, Ernesto La Barbera (difeso dagli avvocati Simone Vernazza e Daniela Adamo) e del dirigente del Genio civile Alessandro Pentimalli (avvocato Claudio Zadra). Le accuse sono di disastro colposo e naufragio.
Secondo l'accusa i lavori di rinforzo a cui la diga era stata sottoposta poco tempo prima della mareggiata avrebbero avuto difetti nella progettazione e non vi sarebbero state le prescrizioni tecniche e la vigilanza da parte del Genio civile.
Le onde in certi momenti avevano avuto superato i 10 metri di altezza e la loro forza abbattè completamente la diga del porto turistico Carlo Riva. La forza dell'acqua causò la rottura degli ormeggi di centinaia di imbarcazioni finite poi sulla spiaggia, sulle scogliere del lungomare e su quelle che proteggono l'antico castello simbolo della città.
Era poi nata una seconda indagine sullo smaltimento dei relitti e dei rifiuti che aveva portato anche a misure cautelari nei confronti dei vertici della società che si occupava del porticciolo e di un imprenditore legato a clan camorristici. Il pubblico ministero Andrea Ranalli ha chiesto il rinvio a giudizio per 17 persone fisiche, tra cui l'allora direttrice della Porto Carlo Riva Spa Marina Scarpino, finita ai domiciliari, e l'allora presidente del consiglio di amministrazione Andrea Dall'Asta. Chiesto il rinvio a giudizio anche per sette società per responsabilità amministrativa dell'ente, tra cui il porto Carlo Riva. Le accuse, a vario titolo, vanno dal traffico illecito dei rifiuti, alla violenza privata aggravata dal metodo mafioso, all'illecita concorrenza con violenza e minaccia, intermediazione illecita di mano d'opera e truffa. Secondo quanto ricostruito dai carabinieri la Scarpino si era rivolta a Pasquale Capuano, imprenditore campano arrestato che si vantava di essere contiguo al clan dei Casalesi. Una gestione dei rifiuti dai costi bassi perché in totale spregio delle norme sulla sicurezza e ambientali, senza le competenze e le autorizzazioni.
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