di Stefano Ambu
Koji Ueda è un sopravvissuto, in giapponese hibakusha: quando gli americani lanciarono la bomba atomica su Hiroshima, aveva tre anni. Del 6 agosto del 1945 non ricorda nulla. Ma quello che accadde glielo hanno detto mille volte: "Ero con mia zia che mi stava leggendo un libro vicino al fiume - ha raccontato a Cagliari nel corso dell'iniziativa promossa anche in Sardegna da Peace Boat - si sentì improvvisamente un forte boato accompagnato da una grande luce. Uno dei rilevatori delle radiazioni lanciato contemporaneamente alla bomba con i paracadute passò sopra le nostre teste.
E tutti ricordano che io ho urlato: la luna, la luna. Il rilevatore era infatti una sfera dalla forma simile al nostro satellite". Ueda è rimasto esposto alle radiazioni solo successivamente quando con la madre è tornato in città a vedere che cosa fosse successo alla loro casa. "Ho vissuto un'infanzia e un'adolescenza tranquille - ha spiegato - mi ricordo però che tanti miei compagni avevano ustioni in diverse parti del corpo. Ma noi non ci facevamo caso, era la normalità". Terumi Kuramori, invece, aveva solo un anno. Viveva a Nagasaki e, al momento dell'esplosione della bomba, era in un rifugio antiaereo. Non ricorda nulla, ma in qualche modo quella tragedia ha segnato la sua vita.
"Anch'io avevo compagni di scuola con i segni dell'esplosione sulla pelle - ha detto - ma non abbiamo mai subito discriminazioni. Da adulti però sì: io ad esempio mi stavo per sposare, ma ricevevo pressioni per farmi fare le analisi temendo fossi contaminata. Alla fine il matrimonio saltò". Kaoru Shinagawa, 68 anni, appartiene alla seconda generazione di sopravvissuti: sua madre però visse l'esperienza della bomba atomica mentre stava lavorando in uno stabilimento di trasformazione del tabacco a due chilometri dall'ipocentro. Ora, da volontario, accoglie studenti e turisti al parco e al museo della pace di Hiroshima.
"Mi chiedono - ha raccontato- ma siamo sicuri che non ci siano più le radiazioni? Io rispondo che sulla base degli studi scientifici non ci sono più. Ma mi guardano come se non mi credessero: i loro visi sembrano preoccupati". Dai sopravvissuti un messaggio di pace: niente nucleare, né per la guerra, né per usi civili. "Gli scienziati in Giappone sono contrari - ha detto Ueda - le centrali tra l'altro producono materiale che non si può smaltire". Gli hibakusha tendono la mano: "La nostra filosofia non è la vendetta - ha confermato Ueda - siamo contrari alla violenza per arrivare alla pace: siamo contenti che Usa e Corea dialoghino. Oggi ci sono 15mila testate nucleari e ciascuna è mille volte più potente della bomba atomica sganciata sul Giappone: provocherebbero oggi due miliardi di morti. Ma non solo sarebbero in grado di distruggere e sconvolgere una parte del sistema solare".
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