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Definitiva la condanna di Mimmo Lucano a 18 mesi per falso

Definitiva la condanna di Mimmo Lucano a 18 mesi per falso

La Cassazione rigetta il ricorso dei legali, inammissibile quello del Pg

REGGIO CALABRIA, 13 febbraio 2025, 08:16

di Lucio Musolino

ANSACheck
Definitiva la condanna di Mimmo Lucano a 18 mesi per falso - RIPRODUZIONE RISERVATA

Definitiva la condanna di Mimmo Lucano a 18 mesi per falso - RIPRODUZIONE RISERVATA

È definitiva la condanna, per un solo falso, a 18 mesi di reclusione, con pena sospesa, per Mimmo Lucano, sindaco di Riace ed europarlamentare di Alleanza Verdi e Sinistra. Ma, soprattutto, diventa definitiva per Lucano l'assoluzione per tutti gli altri reati decisa nell'ottobre del 2023 dalla Corte d'appello di Reggio Calabria.

Si è sgretolato in Cassazione, così com'era avvenuto in secondo grado, il processo "Xenia", scaturito da un'indagine della Guardia di finanza sulla gestione dei progetti di accoglienza dei migranti a Riace. I giudici della Suprema corte, in particolare, hanno rigettato il ricorso degli avvocati Andrea Daqua e Giuliano Pisapia, difensori di Lucano, accusato di avere firmato una delibera ritenuta falsa.

Il dato più rilevante, però, è che la Cassazione ha, al contempo, dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Procura generale di Reggio Calabria per chiedere l'annullamento dell'assoluzione del sindaco di Riace e degli altri imputati per alcuni reati di truffa ai danni dello Stato.

Lo stesso ricorso è stato rigettato, invece, nella parte in cui la Procura generale contestava le assoluzioni per altre truffe e altri falsi. Un anno e mezzo fa la Corte d'Appello aveva già ribaltato la condanna a 13 anni e due mesi di carcere che il Tribunale di Locri aveva inflitto a Lucano nel 2021, ritenendo fondate le accuse di "indebite rendicontazioni al Servizio centrale dello Sprar e alla Prefettura".

In particolare, Lucano era stato condannato come promotore di un'associazione per delinquere avente lo scopo di commettere "un numero indeterminato di delitti contro la pubblica amministrazione, la fede pubblica e il patrimonio". Di tutto questo, così come dei presunti illeciti nella gestione dell'accoglienza dei migranti a Riace, alla fine non ha retto nulla nel processo denominato "Xenia", nell'ambito del quale, stando alla sentenza della Corte d'appello, molte intercettazioni erano inutilizzabili.

Per i giudici di secondo grado, piuttosto, quelle intercettazioni "hanno messo in luce lo spirito di fondo che ha mosso l'imputato, certo di poter alimentare un'economia della speranza, funzionale a quella che più volte Lucano ha definito essere la sua mission, ovvero poter aiutare gli ultimi".

Subito dopo la sentenza della Cassazione, l'avvocato Andrea Daqua ha affermato che "il ricorso della Procura generale era assolutamente infondato e la Suprema corte ne ha dato atto. È stata una brutta storia - ha aggiunto il penalista - nei confronti di un uomo perbene, finita però nel migliore dei modi".

"Io non ho mai commesso nessuno - ha commentato, da parte sua, Lucano - dei reati che mi venivano contestati. È stato un teorema studiato ed elaborato proprio per ostacolare una storia di accoglienza unica nel mondo. Oggi sono felice per questa sentenza. Lo sono per me, per la mia famiglia e per tutte le persone che mi sono state vicine in Italia e in Europa. Sono abituato a non avere rancori. Ma era evidente che si trattava di una macchinazione perché avevamo fatto delle cose che interferivano con questioni che andavano al di là della questione Riace. Penso alla coincidenza temporale degli accordi tra l'Italia e la Libia che ritengo siano strettamente collegati con quello che ha subito Riace".

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