"Quello che è successo nel mentre
che era detenuto in una struttura penitenziaria italiana e,
quindi, assicurato nelle mani dello Stato, non è accettabile. Il
racconto di ciò che ha provato ci ha sconvolto ancora più del
video che abbiamo visto. Vogliamo sia fatta giustizia, per lui,
per chi ancora ad oggi subisce trattamenti di questo genere e
credo, da cittadina italiana, anche per tutti quegli operatori
che all'interno di quella struttura, così come in altre,
lavorano ogni giorno in maniera idonea, impeccabile e
rispettando le regole". Lo dice all'ANSA la cognata del giovane
detenuto tunisino che il 3 aprile 2023 subì un pestaggio
all'interno del carcere di Reggio Emilia: lunedì 17 febbraio
davanti al Gup Silvia Guareschi è prevista la sentenza per dieci
agenti della polizia penitenziaria accusati a vario titolo di
tortura, lesioni e falso. La Procura, con la pm Maria Rita
Pantani, ha chiesto condanne fino a cinque anni e otto mesi per
gli imputati.
Il detenuto fu incappucciato con una federa stretta al
collo, sgambettato, denudato e picchiato con calci e pugni,
anche quando era in terra, e calpestato. Poi fu portato in
cella, nuovamente picchiato e lasciato nudo dalla cintola in giù
per più di un'ora. Tutto è stato documentato da un video delle
telecamere interne al carcere. Quando il filmato, agli atti
dell'inchiesta, venne diffuso dai media, un anno fa, il ministro
della Giustizia Carlo Nordio disse di provare "sdegno e dolore
per immagini indegne di uno Stato democratico".
"Dopo un anno chiediamo che non cali l'attenzione. La
sentenza di lunedì deve essere da monito per chi indossa quella
divisa. Come ho detto deve servire anche per chi lavora in modo
corretto, siamo convinti che la maggioranza degli agenti
penitenziari non operino in quel modo e sappiamo che fare quel
mestiere non è facile. Noi crediamo nelle forze dell'ordine e
nel loro lavoro, non vogliamo attaccare le istituzioni, anzi
ringraziamo la Procura e tutti quelli che ci hanno ascoltato e
supportato in questi mesi", prosegue la parente del detenuto,
parte civile, assistito dall'avvocato Luca Sebastiani. "Ma
denudare, incappucciare e picchiare una persona in quel modo non
può essere giustificabile", continua.
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