E' l'esclusione il filo conduttore dei romanzi di Pierre Lemaitre, premio Gouncourt nel 2013 con 'Ci rivediamo lassu'', di cui esce finalmente anche in Italia per Mondadori la trilogia completa del commissario Camille Verhoeven (Irene, Alex e Camille) con cui ha esordito nel 2006 ed è diventato tra i grandi nomi del poliziesco in Francia.
Mostruosi assassini, torture, come quella inflitta ad Alex rinchiusa in una gabbia, tracciano un percorso segnato da una grande violenza.
"Viviamo in una società non più materialmente ma simbolicamente violenta. La disoccupazione, la povertà sono violenze atroci ma non fisiche. Il romanzo poliziesco esorcizza questa violenza simbolica della società. Nella mia trilogia ho sparato al massimo il cursore sull'orrore, ma posso dire che le scene più orribili sono ispirate ad autori come James Ellroy, Emile Gaboriau e John D. MacDonald. Si giudica sempre la violenza per la sua origine e conseguenza, mai in quanto tale"" spiega Lemaitre, 64 anni, che parla di come scrive i suoi libri alla Festa del Libro e della Lettura, 'Libri Come', all'Auditorium Parco della Musica di Roma.
"Ho voluto coniugare l'idea di romanzo popolare con una scrittura sofisticata. E non è stato facile farlo scrivendo dei veri e propri thriller. La mia emozione per questa trilogia è sempre la stessa, intatta" dice lo scrittore francese che considera la strage di Charlie Hebdo "non solo un'uccisione della libertà di stampa ma di quella artistica e creativa. Si è trattato di un duplice omicidio. Mi sento comunque ferito anche per quei musulmani che sono repubblicani e democratici e vengono sopraffatti da questi terroristi con cui vengono confusi".
Lemaitre - che ha esordito superati i cinquant'anni, ma a 16 anni ha pensato per la prima volta di voler diventare scrittore e a 25 ha scritto il primo libro rifiutato "a ragione" da tutti gli editori - pensa che "il ruolo del romanziere" sia "far saltare tutto per aria". Ed è quello che lui fa nei suoi libri, dove sta sempre dalla parte di chi infrange la legge piuttosto che da quella di chi la difende, a partire anche dai nomi dei suoi personaggi. Così Alex è una donna, Camille è un uomo. "Sono nomi bisessuali" dice con ironia e aggiunge: "Giocando con i nomi imbroglio le carte e lascio al lettore la scelta individuale". In Alex, - il secondo e finora unico titolo della trilogia già pubblicato prima d'ora, ora riproposto da Mondadori che in gennaio ha fatto arrivare in libreria il primo volume 'Irene' e ad aprile farà uscire 'Camille' - si spinge anche oltre: "Gioco con l'identificazione del lettore con il personaggio. All'inizio si prova simpatia verso la protagonista, poi si pensa di aver mal riposto questo sentimento e si vede Alex come un personaggio negativo. Alla fine si rimaneggia tutto: non è ne cattiva ne buona, è entrambe le cose". Alex diventerà anche un film. "La sceneggiatura è mia con un team americano e l'attore a cui abbiamo pensato è Peter Dinklage (Il Trono di Spade). Avevo avuto una proposta da produttori italiani, ma non volevano facessi la sceneggiatura e così ho optato per gli americani. E' l'unico titolo della trilogia considerato adattabile per il cinema", spiega.
Lo specifico del commissario Camille, oltre alla sua bassissima statura, è che guarda il mondo in modo diverso, "dal basso verso l'alto. Non è - sottolinea Lemaitre - un intellettuale, è un disegnatore, la sua mano è il prolungamento del suo cervello".
Dopo il Goncourt dice di "aver guadagnato il tempo e la possibilità di scegliere ciò che vuol fare" e quello che lo diverte di più ora sono "la tv e il cinema": infatti sta lavorando a "una serie televisiva poliziesca in 10 episodi da 52 minuti da un soggetto originale".
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