Henry James, uno dei padri della narrativa moderna, è lo scrittore inglese, ma nato a New York, che cercò di conciliare lo scontro tra due culture, due realtà socio-esistenziali, quella più giovane e semplice americana e quella raffinata europea ricca di storia ('Roderick Hudson' del 1876), e fu poi, con la maturità, il narratore insinuante e coinvolgente di articolati esami di coscienza, di percorsi interiori difficili e spesso angosciosi nella scoperta di certa ineluttabilità del nostro modo di essere ('Ritratto di signora' del 1879 IL TRAILER SU ANSA CINEMA) e della relatività, davanti al mistero del vivere, di ogni convinzione, di ogni punto di vista ('Il giro di vite' del 1898). Per arrivare alla fine a grandi narrazioni in cui tornano i suoi temi culturali e civili, ma con un afflato morale e una forte tensione simbolica ('Le ali della colomba' 1902).
A cento anni dalla sua scomparsa, il 28 febbraio del 1916, quando morì a Londra a 73 anni, in Italia viene ricordato con la ripubblicazione di suoi romanzi e l'uscita della prima traduzione italiana, a cura di Chiara Rea, delle memorie di Theodora Bosanquet - 'Henry James al lavoro' (Castelvecchi, pp.
64, 9,50 euro) - che fu segretaria dello scrittore dall'estate del 1907 sino alla sua fine. Per quasi un decennio divenne quindi la sua fidatissima, irrinunciabile collaboratrice e arrivò a capire come nessuno la sua vocazione assoluta nella letteratura, "così chiara e imperiosa come la fede di un santo nel fondo di un monastero". In queste pagine, ricche di aneddoti e curiosità, traccia così il ritratto intimo del grande artista, che il lettore vedrà dettare con puntigliosa precisione, tenersi la testa fra le mani cercando una parola perduta, costruire la sua prosa complessa con la sola voce, in quel prodigioso fluire, lento e ininterrotto, da cui nascevano quasi con naturalezza i suoi capolavori.
Tra questi, con 'Ritratto di signora' e 'Giro di vite' da poco riproposti da Newton Compton (rispettivamente pp. 538 - 3,90 euro e pp. 158 - 3,90 euro), uno dei titoli centrali e un po' summa del suo lavoro è 'Gli ambasciatori' del 1903, ora di nuovo in libreria nella traduzione di Marcella Bonsanti (Elliot, pp. 568 - 22,00 euro). Gli ambasciatori sono uomini fidati di Mrs. Newsome, ricca possidente di Woollett, cittadina industriale americana, che li manda a Parigi perché riportino a casa suo figlio Chad. Il primo è Lambert Strether, prestante cinquantenne che scopre come il giovane Chad sia trattenuto dal tornare dalla sua relazione con Madame de Vionnet. Invece di impegnarsi nel convincere il giovane a far ritorno a casa, Strether si lascia sedurre dal fascino della vecchia Europa e della scoppiettante capitale francese, mettendo in crisi la sua missione ma anche se stesso e la sua vicenda esistenziale. Non avendo più notizie, dall'America la madre invia nuovi ambasciatori che, puntualmente, cadono nella rete di fascinazioni del beau monde, rimanendone invischiati, americani affascinati dall'Europa, persone che scoprono nuove dimensioni dell'esistenza. Del resto, il primo ad essere coinvolto e conquistato dal vecchio continente, dal 'virus europeo', come lo definì, fu sin da giovane lo stesso James, che studiò andando avanti e indietro tra l'Europa e gli Usa, fermandosi poi a lungo a Parigi (dove frequentò Zola, Flaubert, Maupassant e Turgenev) e stabilendosi definitivamente a Londra nel 1896. Definito tradizionalmente un realista, in realtà, indagando la frattura tra l'individuo e la realtà, la forza del male, il valore dell'imprevisto e l'assenza di significato, dell'opera come dell'esistenza, "l'illimitato potere della coscienza", James è una sorta di visionario sicuro che "l'arte crea la vita, l'interesse, il significato, ed è in virtù di essa che noi prendiamo in considerazione questi aspetti", intendendo l'arte come il luogo di convergenza dell'esperienza, luogo originario di ogni processo formativo e creativo, grazie al linguaggio.
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