CANNES - Con 'Cold War' di Pawel Pawlikowski, applaudito film in concorso oggi al Festival di Cannes, si racconta un cerchio d'amore melò che parte dalla Polonia, tra le macerie della seconda Guerra mondiale, e lì ritorna alla fine degli anni Sessanta. E questo attraversando Parigi, Berlino e Jugoslavia. Un film, in rigoroso bianco e nero, pieno di musica, da quella folkloristica polacca fino al jazz.
Tutto inizia nella Polonia del '46 con minimaliste riprese di un gruppo di musiche e danze popolari: i Mazowsze. Da qui l'idea, dell'allora partito comunista, di rinnovare questo gruppo tramite un casting. Un modo per formare una nuova realtà artistica che fosse un biglietto da visita per la Polonia fedele ai valori comunisti. Qui si incontrano per la prima volta That Wiktor (Tomas Kot), musicista selezionatore del cast insieme a Irena (Agata Kulesza), e la bella popolana Zula (Joanna Kulig), il tutto, ovviamente, sotto la supervisione di un fedelissimo del partito: Kaczmarek (Borys Szcy). Per Wiktor è colpo di fulmine e Zula, tra opportunismo e vera fascinazione, ricambia.
Questo è però solo l'inizio di una storia d'amore impossibile e piena di ostacoli. Tra Varsavia, Parigi e la Jugoslavia, i due si perdono, hanno altre storie, ma sono sempre come in un lungo inseguimento l'uno dell'altro. Lui si ritrova a un certo punto in galera per raggiungerla, mentre lei è ormai diventata una nota cantante. Ma, come accade nelle più belle storie d'amore, alla fine Wiktor e Zula si ritroveranno ancora insieme, in Polonia, dove tutto era cominciato. Girato nel formato accademico 1:33, il film, come era già per 'Ida' con il quale il regista ha vinto l'Oscar come miglior film straniero, è pieno di classicità, nostalgia, sguardi e attese.
E non caso di nostalgia ha parlato Pawlikowski in conferenza stampa a Cannes, citando più volte il suo odio per i cellulari. "Sì - ha ammesso il regista - 'Cold War' è un film molto classico forse anche al di là di quanto non lo sia io, in fondo sono cresciuto con il cinema degli anni Cinquanta e Sessanta. Certo - ribadisce - volevo fare un film senza cellulari, una storia in cui ancora ci si guarda, si deve aspettare, non si è mai distratti. Comunque state tranquilli - ha sottolineato - non è certo la nostalgia dello stalinismo che mi porta così indietro nel tempo, ma piuttosto il rimpianto di come si viveva allora". A fine film la dedica ai suoi genitori entrambi scomparsi: "Mi sono ispirato a loro perché la loro storia d'amore è stata tempestosa. Si sono lasciati e ripresi mille volte e questo attraversando paesi e città. Loro erano fatti così".
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