(di Paolo Petroni)
"Non v'è letteratura senza
diserzione, disubbidienza, indifferenza, rifiuto dell'anima"
scriveva Giorgio Manganelli, scomparso nel 1990 e di cui il 15
novembre si celebrano i cento anni dalla nascita nel 1922, nel
suo celebre saggio del 1967 'Letteratura come menzogna'. E
dandoci così indicazioni sulla propria poetica e impegno nella
scrittura, proseguiva: "Diserzione da che? Da ogni ubbidienza
solidale, ogni assenso alla propria e altrui buona coscienza,
ogni socievole comandamento.... Lo scrittore è anche buffone, un
fool: l'essere approssimativamente umano che porta l'empietà, la
beffa, l'indifferenza, fin nei pressi del potere omicida. Il
buffone non ha collocazione storica, è un lusus, un errore".
Così, fin dai primi libri, nati durante le frequentazioni
assidue delle riunioni del Gruppo 63, 'Hilarotragedia' del 1964
e 'Nuovo commento' del '69, sembra tener fede a queste
enunciazioni, a un'apparenza dissacratoria che in realtà è
fiducia proprio nella letteratura, nella scrittura con cui
rivendicare la supremazia assoluta della lingua sui contenuti,
sul messaggio. Il primo, sorta di catalogo delle angosce di
quella discesa agli inferi che è la vita umana, è tutto un
susseguirsi di illazioni, chiose, aneddoti che spostano
continuamente la prospettiva del discorso, destinato a non
concludersi mai, tanto che il libro si chiude con due punti,
come a introdurre altre ipotesi che però non ci sono. Tutto
contrassegnato da una spericolata ricerca lessicale, tra
arcaismi e creazione di neologismi, per la costruzione di mille
figure retoriche. Un estremismo espressivo, un scrittura come
sfida e gioco che segnerà tutta la produzione, letteraria e
critica di Manganelli. 'Nuovo commento' è costruito su
un'infinita serie di note e commenti, che si generano uno
dall'altro, a un testo inesistente.
Accanto alla propria attività di scrittore, Manganelli,
studioso e docente di letteratura inglese, ha sempre avuto un
impegno come critico, oltre che traduttore (da Poe a Eliot),
come testimoniano i volumi da 'Laboriose inezie' ad 'Angosce di
stile', con alle spalle quell'idea che "se la letteratura è un
sogno caotico e sfrenato, una città frequentata da cantafavole,
buffoni, prèfiche a pagamento, ciarlatani virtuosi e predicatori
di elaborati vizi, ecco che il recensore sarà il buffone del
buffone, la spalla del grande tragico, la claque del
meditabondo, il parassita del pedante", come scrisse per il
risvolto di copertina a una raccolta di sue recensioni che non
vide mai la luce. Questo senza dimenticare la notazione dedicata
a Edmund Wilson, che ha "assolto puntigliosamente al compito del
vero critico, che è quello di non capire alcune cose, di essere
totalmente impervio a taluni valori, perché altri gli si svelino
con incontestabile chiarezza".
Così con il libro questo scrittore ironico e sulfureo aveva
un rapporto di corpo a corpo, all'ultimo sangue per impadronirsi
del suo lato più oscuro e intimo e, alla fine, riuscire a
rivelarci di ciò che è riuscito a possederne, ed è spesso
qualcosa di nuovo, anche relativamente a testi classici ben
conosciuti. Anche perché a guidarlo c'era quella 'Concupiscenza
libraria' che il curatore Salvatore Nigro ha usata di recente
per titolo di una sua raccolta di recensioni "ampiamente
rappresentativa della vastità dei suoi interessi, che non si
arrestarono davanti a confini geografici, linguistici e
temporali", di quella letteratura che, diceva, "è immorale e cui
è immorale attendere".
Molte le sue opere creative e si va da 'Lunario dell'orfano
sannita' a 'Pinocchio: un libro parallelo', arrivando a quel
'Centuria' del 1979, l'unica sua prova di pura narrativa, che
ebbe anche successo di pubblico e ottenne il Premio Viareggio.
Composto da 'Cento piccoli romanzi fiume' (come recita il
sottotitolo), ognuno di una sola pagina, è stato usato, come
altri testi di Manganelli, anche in teatro: "Con la sua lingua
inventata, i suoi sinonimi, le sue perifrasi, che devi riuscire
a tirar fuori - ha detto Massimo Popolizio - è una grande
palestra, meglio di un testo classico, con i brani scritti in
terza persona che obbligano a scrollarsi di dosso ogni
psicologismo e a recitare tirando fuori l'emotività".
Scrittore disordinato, sempre all'inseguimento di curiosità e
interessi a 360 gradi, come quando si appassionò al viaggiare,
lasciandoci i reportage di 'Cina e altri Orienti', ha disperso
un po' ovunque il suo lavoro, così che sono tantissimi i volumi
usciti postumi che ordinano e raccolgono i suoi scritti più
vari, dai saggi de 'Il rumore sottile della prosa' alle sue
'Interviste impossibili', da 'Il vescovo e il ciarlatano',
riflessioni sull'inconscio e casi clinici (lui che per anni era
stato in terapia da Ernst Bernhard, analista junghiano che ebbe
importanza fondamentale anche come influenza sul piano
letterario) a 'Incorporei felini', due volumi sulla letteratura
inglese, solo per fare pochi esempi. La sua sterminata
produzione comprende anche un numero non esiguo di 'Poesie',
come si intitola un'ampia silloge uscita postuma, in maggioranza
scritte prima del suo esordio nella prosa.
Quanto al personaggio e alla sua vita, è appena arrivato in
libreria per raccontarcelo, un volume della figlia Lietta
Manganelli, con un titolo, 'Aspettando che l'inferno cominci a
funzionare', che sembra rimandare a 'Hilarotragedia'.
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