''Ancora un altro necrologio o: Niobe e i suoi figli Ogni giorno di guerra è un giorno di troppo.
Lo shock dell'inizio della guerra in Ucraina si è trasformato in una routine che ci accompagna da tempo.
Ormai la guerra sembra un
dato inevitabile. Viviamo in registri temporali differenti, in
un mondo globalizzato, ma profondamente diviso. In Ucraina
muoiono persone, lo vediamo letteralmente online''. Inizia così
"Ancora un altro necrologio o: Niobe e i suoi figli'', il testo
inedito, che qui anticipiamo, che la scrittrice Katja
Petrowskaja, premio Strega europeo 2015 con ''Forse Esther'',
autrice di un secondo libro pubblicato di recente da Adelphi
2024 dal titolo ''La foto mi guardava'', proporrà sabato 6
luglio a Capri a Piazzetta Tragara, nell'ambito del festival Le
Conversazioni ideato da Antonio Monda e Davide Azzolini. Oggi 5
luglio è la volta di Marco Ferrante, domani 6 luglio di Katja
Petrowskaja e si chiude domenica 7 con Pascal Bruckner.
Qui sotto alcuni brani del testo inedito dedicato alla guerra
della scrittrice e giornalista tedesca di origine ucraina, in
cui si parte ancora una volta dall'immagine: ''È successo il
giorno stesso in cui Ewgen G. è morto. Ero a Roma e fotografavo
tutto ciò che vedevo, non solo la città, ma anche le persone che
fotografavano, forse per prolungare la realtà della primavera,
per coprire la guerra perdurante, per rimuovere la morte in me,
come se fotografare la bellezza fosse anche uno strumento di
lotta, giorno dopo giorno, nonostante la guerra.
Ero a passeggio nel giardino di una famosa villa di Roma. In
lontananza notai delle statue emergere dal verde della
vegetazione. Alcune tendevano le braccia in alto e in avanti, in
una sorta di movimento allarmato: una richiesta d'aiuto, come se
fossero relitti di navi lontane, in procinto di affondare. Mi
avvicinai e vidi i loro corpi stringersi l'un l'altro, quasi
fossero feriti e cercassero una via di salvezza, per strapparsi
al mortale risucchio della terra. Solo in un momento successivo
capii che si trattava di Niobe e dei suoi figli e che nel
giardino di quella villa romana stavo diventando testimone
oculare di un fatto di sangue. Tutti i suoi quattordici figli
sarebbero stati uccisi uno dopo l'altro. Niobe si era beffata
della dea Leto, che aveva soltanto due figli, Apollo e Artemide.
E Leto aveva ordinato di punire la feconda Niobe per la sua
hybris. Apollo e Artemide non avevano risparmiato neppure uno
dei suoi figli. Allora e adesso, sotto i miei occhi.
Tra le foglie intravidi una mano che spuntava fuori dal verde,
come se stesse nuotando; una figura stramazzava a terra, mentre
un'altra teneva una mano premuta sulla schiena, colpita da
un'invisibile freccia di Apollo. A ciascuno una morte diversa''.
E continua poi: ''Mi stupivo di come il mio sguardo fosse
cambiato in quell'anno di guerra, soprattutto se vedevo un corpo
di pietra grezza riverso a terra, in mezzo a foglie verdi. Con
le mani divorate dalla morte. Negli ultimi tempi avevo visto
molte di quelle mani su Instagram.
Due anni fa sembrava già che la guerra durasse da molto tempo,
Irpin e Butscha erano state liberate e il mondo avva visto le
immagini della "Pax Russica": vittime civili con le mani legate,
la mano fresca di manicure di una donna uccisa, quella grigia di
un'altra, lievemente gonfia. E, proprio lì accanto, il suo
portachiavi con la bandiera europea. Mi ricordo di una mano tesa
verso quella chiave. Quella notte stessa a Kiev c'era stato
l'ennesimo „attacco", un amico se ne stava seduto in corridoio
tra una parete e l'altra, e io pensavo a che punto esposto e
indifeso sia il corpo umano. Io però ero in Italia e nel mio
"film" italiano interiore balenava il gigantesco torso piatto
del David fiorentino, bersaglio verticale di un razzo.
Quella notte una poetessa annunciò che il miracolo non c'era
stato. L'uomo disperso era morto. Io non conoscevo Jewgen G. e
pensai che nel corso di quell'ultimo anno avevo conosciuto
alcune persone meravigliose quando ormai erano già morte.
Soldati, infermieri, volontari della difesa civile. Li ho
conosciuti in un tempo postumo, dai necrologi. Jewgen era un
traduttore, filosofo e attivista di Leopoli, era andato al
fronte come volontario - e adesso è caduto. Lessi di lui come
pietrificata dentro, come se fossi caduta fuori dal tempo, e
intanto tenevo il mio iPhone come una candela che illuminava la
notte - una fonte d'informazione tramutata in omaggio, in
oggetto per un rituale funebre''. Ancora prosegue oltre il testo
di Katja Petrowskaja: ''Anche Jewgen era caduto a Bachmut.
Niente da fare. Un mio amico, che anche lui era stato a Bachmut,
aveva scritto: „L'Apocalisse è qui". Vidi il volto di Ewgen G.
nel video dell'ultima intervista, intitolata: "Da pacifista a
liberatore di Cherson". Qui parlava a bassa voce e un po'
imbarazzato dei combattimenti, della sua ferita, dei compagni, e
di come mai lui, studioso della cultura, non avesse potuto fare
altro che andare al fronte. Mi imbattei in un suo articolo sulla
traduzione ucraina dell'opera principale di Jean Baudrillard Lo
scambio simbolico e la morte. Certo, la cultura consiste
innanzitutto nel dialogo con i morti, ma che i morti muoiano
proprio adesso, e in questo modo, è qualcosa a cui non siamo
preparati. Apprendiamo la cultura e le sue figure nel tempo
reale della morte.
Continuavo a guardare il video. Lui parlava e io facevo degli
screenshots per sottrarre il suo volto alla fiumana della morte,
il volto di un uomo che incontravo per la prima volta in un
necrologio e dal quale non ero pronta a prendere congedo''.
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