(di Francesco De Filippo)
PIETRO SPIRITO, E' NOTTE SUL
CONFINE (Guanda Noir; 250pp; euro 18) C'è un merito indiscusso
in "E' notte sul confine" di Pietro Spirito che travalica il
valore dell'intreccio narrativo, la profondità dei personaggi e
tutto l'armamentario del buon giallo: è l'aver saputo
trasmettere quel manto di malinconia misto a vecchiume che era
calato nel dopoguerra su Trieste, riverbero italiano della
tristezza silenziata dell'oltre cortina di ferro, e sotto il
quale si agitavano violente dinamiche sociali che i trattati di
Parigi del 1947 e il Memorandum di Londra del 1954 non avevano
placato.
Se all'Est la tristezza silenziata scaturiva da ordine,
pulizia, formazione, efficienza (non quella
amministrativo-burocratica) imposti con la forza, a Trieste la
malinconia - città più austriaca e balcanica che non italiana -
si manifestava in una certa trasandatezza pubblica, nel
ripiegamento in se stessi conseguenza di quasi un secolo di
massacri, nelle giacche a quadroni con cravatte non intonate. E
una Bora che era un vento fortissimo e non ancora un tratto
identificativo della città.
Era la Trieste affollata di profughi, misteri, gente che si
arrangiava, spie, dal confine troppo vicino per cui bastava
salire sul Carso per incrociare gli sguardi vigili e minacciosi
dei graniciari jugoslavi. Quel confine non era la demarcazione
tra due Stati ma un abisso che divideva il mondo capitalista da
quello socialista, l'Occidente a matrice statunitense dall'Est
di marca sovietica.
In questo turbolente contesto nel dicembre 1970 un
giornalista locale che lavora anche per il Sid (Servizio
informazione difesa, i servizi segreti dell'epoca) si imbatte in
una intricata vicenda cominciata con l'assassinio di un soldato
di leva, anche lui reclutato dai servizi. Non è un momento
storico qualunque: in alcuni ambienti si diffonde la notizia che
il principe nero, Junio Valerio Borghese, sta preparando un
colpo di Stato, forte dei consensi che ancora riscuoteva tra le
truppe a ogni livello. Della notizia sono a conoscenza i servizi
jugoslavi - ovviamente contrari a un golpe fascista - la Cia -
non troppo convinta di insediare a Roma un esecutivo sul modello
del regime dei colonnelli in Grecia - e i servizi italiani, che
mirano a difendere il sistema democratico nonostante i tanti
governi dalla brevissima durata, nella fattispecie quello in
carica, del democristiano Emilio Colombo.
Nell'agitato acquario di eventi reali come questo, come i
campi di concentramento italiani, i traffici di armi dalla
Jugoslavia verso l'Italia via mare e le stragi naziste si
sviluppa la storia (di fantasia?) del cronista Ettore Salassi.
Sarà perché la sua vita privata è un disastro, in questa vasca
Salassi si muove con disinvoltura, intelligenza e coraggio. La
tendenza a innamorarsi con facilità (e con altrettanta rapidità
a fuggire dalle relazioni) come della bella Maya, anch'ella
dalla vita intricata, non frenano nel giornalista il
perseguimento di un obiettivo che potrebbe rivelarsi un
requisito di stabilità anche per il suo equilibrio privato.
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