(di Patrizia Vacalebri)
"Da siciliano non conoscevo Roma.
Atterravo direttamente a Milano. Roma per me e per Stefano era
una città impossibile per una sfilata, perché pensavamo a tante
location dell'impero romano. Ma grazie all'assessore Alessandro
Onorato, che ha sposato la nostra causa, ho conosciuto Palazzo
delle Esposizioni. E l'ho trovato un posto meraviglioso per
portare a Roma la nostra mostra di alto artigianato, 'Dal Cuore
alle Mani', che è stata già a Milano a Palazzo Reale nel 2024 e
ora è a Parigi fino al 31 marzo, al Grand Palais, dove c'è una
fila interminabile di persone per vederla. A Roma, dal 13 maggio
al 13 agosto, la mostra sarà ampliata con una sala in più, che
si chiamerà 'Anatomia Sartoriale', dove mostreremo com'è fatto
un nostro abito al suo interno". Domenico Dolce è l'ultimo
designer ospite dei talks della manifestazione "Forma -
Prospettive di Moda, Arte e Creatività", primo festival delle
accademie di moda, nella Nuvola di Fuksas, promosso da Roma
Capitale, Assessorato alla Moda, Turismo, Sport e Grandi Eventi,
guidato da Alessandro Onorato, e dalla Regione Lazio con
l'Assessorato allo Sviluppo Economico, Commercio, Artigianato,
Industria, Internazionalizzazione, guidato da Roberta Angelilli.
Una due giorni intensa, 21 e 22 marzo, che ha visto una mostra
di 80 abiti d'archivio delle otto accademie partecipanti,
workshop e performance dedicate ai futuri talenti della moda e
diversi incontri con i grandi nomi del settore, tra i quali
Giancarlo Giammetti, Maria Grazia Chiuri (Dior), Dolce nel
finale, in conversazione con Serena Tibaldi e Michele
Ciavarella.
"Per me è la prima volta a Roma e la prima volta davanti a un
pubblico così vasto", spiega Dolce inizialmente quasi intimorito
dalla platea di giovani dell'Auditorium, per l'occasione
pienissimo. Ma poi comincia a raccontare degli inizi della sua
carriera ed è un fiume in piena. "Sono nato in Sicilia in un
piccolo paese, Polizzi Generosa. Mia madre era una sarta. Io non
giocavo da piccolo con i trenini, ma con le pezze che avanzavano
a mamma. Poi nel 77 lessi su Gap un'intervista a Ferré e rimasi
folgorato, tanto che volevo fare l'architetto. Ma dopo il liceo
scientifico a Palermo mi iscrissi alla Marangoni a Milano, dove
litigai subito con una docente e mollai. Ecco perché, vi dico,
la scuola è un modello formativo, ma poi siete voi che dovete
raccontare voi stessi attraverso quello che fate. Io ancora
adesso racconto i miei amori, le mie gioie i miei ricordi con i
miei vestiti. Non sempre belli e non sempre graditi dalla
stampa". E a proposito di rapporti con la stampa non sempre
sereni, Dolce cita un'intervista che deve aver aumentato le
distanze di D&G dai giornalisti. "So che non piacciamo alla
stampa. Molti ci giudicano volgari. In un'intervista una
giornalista di un grande quotidiano mi disse: 'secondo lei un
uomo non si vergogna a portare a cena una donna in corsetto o in
sottoveste?' Risposi che da piccolo vedevo mia madre in
sottoveste e in corsetto e la trovavo bellissima".
"La nostra prima sfilata è arrivata nel 1985, grazie al
presidente di Milano Collezioni Beppe Modenese che ci individuò
dietro segnalazioni. Gli inizi sono stati difficili, eravamo
arrivati alla fame, buttati fuori anche dall'azienda che ci
produceva. Invece quella prima sfilata intitolata "Donne vere",
fu un successo. Chiamammo tutte le amiche a sfilare perché non
avevamo i soldi per le modelle. D&G nacque invece dallo street
style a New York negli anni '90 e lo chiudemmo dopo 18 anni. La
nostra alta moda è nata 11 anni fa con il desiderio di lasciare
un segno. È il nostro artigianato. E gli artigiani oggi vengono
umiliati. Non si riconosce il loro valore. È caro? Cosa
significa? Bisogna riconoscere il valore della creatività
dell'artigiano che le cose le fa con le mani, con amore. Le
grandi aziende fanno borsette, non vestiti. È come se a cena si
ordinasse solo dessert. Cosa studiate voi a scuola con la storia
della moda? Come vestivano, non che borsa avevano. Poi se vuoi
pensare solo a quello... cazzi tuoi".
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