"Fenoglio è un eroe atipico della perplessità e del dubbio, di essere uno che non ha certezze sul nulla e proprio per questo è un bravo investigatore. I peggior investigatori sono quelli che hanno un'intuizione e si attaccano a quella come se fosse la verità. I migliori sono quelli capaci di abbandonare un'ipotesi se quella non è suffragata dai fatti". Lo dice Gianrico Carofiglio, scrittore, ex magistrato ed ex senatore in un'intervista al Prix Italia su "Il Metodo Fenoglio", serie in 4 serate dal 27 novembre su Rai1 con Alessio Boni e Paolo Sassanelli tratta dalla trilogia dei suoi romanzi e coprodotta da Rai Fiction - Clemart. Secondo Carofiglio "sono stati bravi i registi a scegliere questo titolo Il metodo Fenoglio, che non è mio ci tengo a dirlo, (i miei libri sono Una mutevole verità, L'estate fredda e La versione di Fenoglio) ma mi ci riconosco". Su come sia stato reso il personaggio di Fenoglio dal protagonista Alessio Boni dice: "Raramente immagino il viso inteso come lineamenti precisamente individuabili di un personaggio ma la fisicità non è troppo diversa. Credo che Boni sia riuscito nell'impresa di dare un senso televisivo a un personaggio di romanzo, in questo senso però in una sorta di alleanza artistica inscindibile con Sassanelli (che intepreta l'appuntato Pellecchia) e nella serie tv questo è reso ancora meglio". Carofiglio spiega che ha sentito il bisogno di ripristinare la verità e di raccontare il suo lavoro passato di pubblico ministero investigatore. "Ho scritto romanzi anche quando ero pm - rivela - ma non ho mai raccontato quelle storie allora, perché mi sembrava che le avrei indebolite. Le storie hanno bisogno di un po' di distanza, di prospettiva, secondo la mia opinione. Avendo stabilito quelle distanze mi è sembrato il momento giusto per raccontare quelle storie, attraverso l'alter ego di un maresciallo dei carabinieri. Nel personaggio di Fenoglio, nel suo approccio all'indagine e al rapporto con le persone, un'idea di rispetto e di senso del dubbio e del limite, mi piace pensare che ci siano cose che io ho cercato di mettere in quel lavoro quando lo facevo". Carofiglio dice anche che soprattutto L'estate fredda è stato scritto per ripristinare un po' di verità sulle molte stupidaggini che si sono dette e si dicono sulla lotta alla criminalità organizzata. "Non è vero che finora non si è fatto nulla. Negli anni Novanta, noi, intendo un gruppo di magistrati in vari posti e un certo numero di ufficiali di polizia, - racconta - abbiamo fermato l'ascesa verso la serie A delle mafie, delle mafie pugliesi che stavano diventando pericolose come le altre. Questo non è accaduto perchè c'è stata una azione seria di contrasto investigativo giudiziario. Una delle ragioni per cui ho scritto quel romanzo è quella di ristabilire la verità su questo, rendere ragione, se non merito e onore a quelli che hanno lavorato in condizioni spesso faticosi". Carofiglio sottolinea poi come nella serie ci sia un racconto plausibile delle storie investigative, "cosa che devo dire da tecnico non è frequentissimo nelle serie televisive di tutti i tipi. Non volevo che si fossero strafalcioni di metodo e di procedura investigativa". Infine Carofiglio non si tira indietro e risponde anche a una domanda sulla guerra in atto tra governo e magistratura. "Purtroppo non è una novità, in tanti, tantissimi, - sottolinea - hanno un'idea bizzarra del principio di separazione dei poteri che risale a Montesquieu: l'interpretazione di costoro è che, se i magistrati ci danno ragione sono indipendenti, se ci danno torto sono politicizzati dall'altra parte. Non richiede neanche di essere commentata una simile sciocchezza e un approccio così capace di minare dal profondo la legittimazione delle istituzioni".
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