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In evidenza
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Temi caldi
(di Enzo Quaratino)
GIANNI MOLINARI, NON CE N'È COVIDDI
(Guida Editore, pp. 153, 15 euro).
Volti chiusi dietro mascherine, città ammutolite, notizie che
si rincorrevano senza tregua. Ricordare quei giorni non è solo
un esercizio di memoria, ma un modo per fare i conti con ciò che
siamo diventati. In "Non ce n'è Coviddi", Gianni Molinari,
giornalista de Il Mattino - sceglie di tornare a quei mesi
sospesi con uno sguardo che mescola la precisione del cronista
alla sensibilità del testimone. Non c'è solo la cronaca dei
fatti, ma il tentativo di dare un senso a un tempo disorientato.
Senza inseguire l'emozione facile o cadere nel patetico,
Molinari ripercorre la prima ondata della pandemia in Italia e
lo fa con uno stile asciutto, a tratti ironico, sempre attento a
non perdere di vista le contraddizioni di un Paese che, di
colpo, ha scoperto la propria vulnerabilità.
Il volume si distingue per la capacità di intrecciare
l'immediatezza dell'evento con una riflessione più ampia: il
racconto si allarga alle ricadute economiche, sociali,
culturali. Le vignette di Riccardo Marassi e le fotografie
dell'autore stesso accompagnano il testo come appunti visivi,
piccoli scatti che trattengono la densità di un tempo
eccezionale.
Molinari indaga il modo in cui la pandemia è stata
rappresentata, vissuta, elaborata. Mette a nudo l'inadeguatezza
del sistema mediatico, la frammentarietà del dibattito pubblico,
il disagio di fronte a un cambiamento che ha colto tutti
impreparati. E con la stessa attenzione documenta le
fratture già esistenti che il virus ha solo reso più visibili:
disuguaglianze nella scuola, fragilità produttive, precarietà
digitale.
Il libro - che ha la prefazione di Massimo Galli - è
attraversato da una domanda implicita: cosa resta di quei
giorni? La risposta non è semplice, ma l'autore prova a
costruirla intrecciando piani diversi, dal locale al
globale, e restituendo al lettore strumenti per leggere il
presente attraverso la lente del recente passato. La crisi
sanitaria, suggerisce, ha accelerato processi già in corso -
dalla crisi della globalizzazione all'affermazione del lavoro da
remoto - e obbliga a rivedere priorità, abitudini, relazioni.
Più che un diario, "Non ce n'è Coviddi" è un esercizio di
responsabilità civile. Un racconto necessario che, senza
rinunciare alla sobrietà, riesce a emozionare, perché
parla di noi, del nostro smarrimento e del nostro tentativo -
fragile, ma ostinato - di resistere e capire.
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