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Fondi 8xmille, slitta apertura processo al fratello di Becciu

Fondi 8xmille, slitta apertura processo al fratello di Becciu

Accusato con altri otto di aver usato per fini privati 2 milioni

SASSARI, 09 aprile 2025, 12:21

Redazione ANSA

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- RIPRODUZIONE RISERVATA

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Slitta al 9 luglio l'apertura del processo contro Tonino Becciu, fratello del cardinale Angelo Becciu, al vescovo di Ozieri Corrado Melis, e altri sette imputati, a giudizio al Tribunale di Sassari con l'accusa di aver usato per fini privati 2 milioni di euro di fondi dell'8 per mille e 100mila euro della Segreteria del Vaticano destinati alla Diocesi ozierese.
    L'udienza di apertura del processo, fissata per oggi, è stata rinviata a luglio per legittimo impedimento dell'avvocato della difesa, Ivano Iai, che assiste gli imputati ecclesiastici.
    Sei imputati - Becciu, il vescovo di Ozieri Melis, il direttore della Caritas don Mario Curzu, il parroco di San Nicola ed economo della Diocesi don Francesco Ledda; Giovanna Pani e Maria Luisa Zambrano - sono accusati di peculato e riciclaggio.
    Gli altri tre - il parroco di San Francesco don Roberto Arcadu, Franco Demontis e Luca Saba - dovranno rispondere dei reati di false dichiarazioni al pm e favoreggiamento.
    L'inchiesta aperta a Sassari è legata al processo del Tribunale vaticano concluso nel dicembre 2023 con la condanna a cinque anni e sei mesi del cardinale Angelo Becciu per la gestione dei fondi della Segreteria di Stato e per la compravendita del palazzo di Londra.
    Fra le motivazioni di quella sentenza c'è proprio il giudizio sui fondi destinati alla cooperativa Spes, guidata dal fratello del cardinale sardo. "Il tema centrale - si legge nel documento - resta uno e uno soltanto: la illiceità della donazione, in quanto effettuata a favore di propri congiunti e quindi in violazione delle già citate norme dell'ordinamento con conseguente uso illecito delle somme di cui il pubblico ufficiale dispone".
    Gli avvocati difensori, Ivano Iai e Antonello Patanè, respingono le accuse rivolte ai loro assistiti sostenendo da una parte il contrasto del procedimento con l'articolo 7 della Costituzione e con il Concordato tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica. Dall'altra rivendicano l'assoluta liceità del comportamento degli imputati, che hanno usato le somme ricevute esclusivamente per fini caritativi.
   

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