Un lungo percorso per affermare la
forza del segno, un cammino cominciato negli Anni Trenta con la
pittura figurativa di volti, corpi e ambienti seguendo la rotta
del tonalismo, la crisi attraversata dopo la fine della seconda
guerra mondiale per approdare all'astrattismo di cui è diventato
uno dei grandi maestri. Racconta l'evoluzione - e il tormento
con cui si trovò a lungo a fare i conti - di un personaggio che
non amava i riflettori 'Dietro le quinte', la mostra che fino al
6 novembre la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma dedica a
Giuseppe Capogrossi a 50 anni dalla morte.
La cinquantina di opere, tra lavori su carta e dipinti,
selezionate dalla curatrice Francesca Romana Morelli,
rappresentano la prima retrospettiva che affianca per la prima
volta il primo periodo di attività del pittore con la produzione
astratta che lo ha reso celebre. Il prologo nella sala che apre
l'esposizione è affidato a una ventina di disegni scelti per
documentare proprio il passaggio di campo, dai nudi di donna ai
simboli grafici celebrati nel vasto campionario delle Superfici
che hanno scandito l'intera carriera successiva.
Efficace la scelta di affiancare alle opere astratte quelle,
intense e rarefatte, del primo periodo - come Il Vestibolo e
Ritratto Muliebre (del 1932), o Nudo disteso (1940) e Dietro le
quinte (1938). "La mia ambizione - scrisse l'artista nel 1955
presentando una sua mostra al Museum of Modern Art di New York -
è di aiutare gli esseri umani a vedere quello che con i loro
occhi non percepiscono: la prospettiva dello spazio nel quale
nascono le loro opinioni e azioni".
Le celebrazioni di Giuseppe Capogrossi (1900-1972) avranno un
seguito in 25 musei italiani che, dal 9 ottobre, il giorno della
morte dell'artista, hanno in programma mostre, eventi, incontri
e approfondimenti per mettere in luce il segno lasciato dal
maestro nelle sedi espositive e nelle istituzioni italiane.
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